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La Cucina Non è Sempre Stata Femminile

La Cucina Non è Sempre Stata Femminile
12 luglio 2018

Donne e cucina; per un certo periodo il binomio sembra essere stato molto stretto – se si pensa, ad esempio, allo stereotipo che vuole la donna come “angelo del focolare“, dedita alla casa e ai fornelli. Eppure, tra i grandi nomi degli chef di fama mondiale, compaiano meno donne e più uomini. Come mai?

Il rapporto tra donne e cucina è cambiato molto nel corso dei secoli. Risalendo al tempo delle corti rinascimentali, infatti, si scopre che a preparare le pietanze nella case dei nobili erano gli uomini, perché si temeva “l’inclinazione” delle donne agli intrighi di corte e agli avvelenamenti. Le donne stavano sì in cucina, ma le mani fidate che avrebbero servito i potenti, erano quelle di un uomo. Di conseguenza, i primi trattati di cucina sono stati scritti da uomini. Dal ricettario di Apicio di epoca romana, al Libro de arte coquinaria del Maestro Martino da Como (datato 1465) si vede come fin dall’antichità gli uomini hanno raccontato cosa accadeva a fornelli. Ma ci sono alcune eccezioni: c’è la testimonianza di una ricetta scritta da una donna che risale al 1397 e appartiene alla moglie di un importante mercante, a cui aveva mandato la spiegazione del suo modo di fare i piselli perché lui aveva nostalgia della cucina di casa. Oppure, l’esempio di suor Maria Vittoria Verde del monastero di San Tommaso a Perugia, che verso la fine del ‘500 ha raccolto in un ricettario alcuni consigli per aiutare la vita spirituale, seguita nel 1600 dalla monaca messicana Juana Inés de la Cruz, che associava la cucina alla filosofia. Ma secondo quanto scrive l’agronomo aristocratico Vincenzo Tanara, nel 1644, “il più sporco degli uomini è più pulito della più pulita delle donne“; un’affermazione che rende l’idea di quanto fosse forte il pregiudizio dell’epoca nei confronti delle donne, considerate creature emotivamente instabili, preda delle passioni, inaffidabili, incapaci di controllarsi e – naturalmente – anche un po’ streghe.

Quando arriva il cambiamento? Si dovrà aspettare l’avvento della borghesia ottocentesca per assistere al passaggio di testimone tra uomini e donne ai fornelli: la padrona di casa prende possesso della cucina famigliare e comincia a fiorire una letteratura sull’arte culinaria. Nel 1858, Katharina Polt “Prato” pubblica in Austria il suo grande successo, Die süddeutsche Küche, un libro di ricette finalmente scritto da una donna, che si propone di insegnare le basi della cucina alle meno esperte. In italiano esce come Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche e viene tradotto da una maestra di cucina del corso di economia domestica nel Civico liceo femminile di Trieste, Attilia Visconti-Aparnik.

Di qualche anno più tardi è il famoso La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, del 1891, uno dei ricettari italiani più conosciuti, e bisogna aspettare il 1900 per avere la prima donna italiana a firmare il suo libro di ricette: è Giulia Ferraris Tamburini, con il suo “Come posso mangiar bene? Libro di cucina con oltre 1000 ricette di vivande comuni, facili ed economiche per gli stomaci sani e per quelli delicati, uscito nella collana “Biblioteca delle Famiglie” dopo il volume Come devo governare la mia casa?, sempre di Tamburini, del 1898. Altra pietra miliare delle cucina al femminile è senz’altro il manuale di Ada Boni, quel Talismano della felicità (pubblicato nel 1925) che si propone di insegnare alle giovani donne, l’arte della cucina.

Di Voi, Signore e Signorine, molte sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici ed altre ancora sono esperte nel “tennis” o nel “golf”, o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova al “guscio”.

In quel periodo, a parlare di cucina, benessere e risparmio ci ha pensato anche Petronilla, ovvero Amalia Moretti Foggi, una delle prime donne laureate in medicina in Italia, che nel suo percorso straordinario ha scritto anche di cucina, nella rubrica Tra i fornelli della Domenica del Corriere, iniziata nel 1927. Le donne scrivono dunque di cucina tanto quanto gli uomini, e vendono manuali e ricettari che ottengono un grande successo; e dopo aver lottato per uscire dallo stereotipo che le voleva barricate in cucina, ora stanno emergendo sempre di più anche come chef – di cui però, si parla molto meno rispetto ai colleghi maschi. Secondo uno studio dell’Università di Parma,  riportato dal Corriere della Sera, la situazione delle donne chef non è facile. Secondo la coordinatrice della ricerca, Silvana Chiesa, “cinque donne chef su dieci fanno fatica a trovare finanziamenti per un’attività in proprio se non sono accompagnate da un uomo. Sei chef su dieci si sentono poco riconosciute nel loro lavoro. Sette su dieci pensano di aprire un ristorante con amici o familiari per avere una rete di protezione. E perché nessun altro investitore le cerca.” Spesso, le difficoltà dipendono anche dal modello di gestione improntato dagli uomini fino ad ora:

Al momento l’unico modello esistente è quello impostato due secoli fa dagli uomini. Gli ex domestici dei nobili francesi diventati improvvisamente cuochi professionisti, che per marcare la distanza dalle donne, cuoche di servizio, hanno organizzato le cucine in modo militare facendosi chiamare chef, cioè capi, indossando divise e instaurando una durissima gerarchia. Per carità, è una via, ma rimasta identica a sé stessa per duecento anni, insegnata nelle scuole, perpetuata nelle brigate, quando molti chef, soprattutto donne, l’hanno già completamente superata impostando le loro cucine con altri criteri, molto più collaborativi.

Sembra dunque che la sfida del nostro tempo sia quella di valorizzare le donne chef, dando loro la visibilità che meritano.

Source: freedamedia.it

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