Quattro miliardi di euro sono stati spesi (per la precisione, sono 3.923.468.284,58 a metà settembre 2017) sulle scuole negli ultimi anni per metterle in sicurezza, migliorarle e adeguarle alle normative. E sono quasi 12mila gli interventi fatti, per un totale di poco più di 7.100 scuole interessate, molte delle quali hanno approfittato per fare più di un lavoro: dall’adeguamento sismico a quello energetico. È quanto emerge da un’inchiesta di AGI, che, dopo un accesso civico ai dati al Miur, ha elaborato (in collaborazione con l’agenzia di datajournalism Formicablu) le informazioni ricevute sui cantieri in corso e quelli completati assieme ad altri dati resi pubblici online dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Tanto resta da fare nelle regioni a più rischio terremoti
I 12mila gli interventi fatti, per un totale di poco più di 7.100 scuole, rappresentano poco, se consideriamo che le scuole in Italia sono più di 42mila. E quindi ancora tanto rimane da fare soprattutto nelle regioni che, hanno una maggiore pericolosità sismica, secondo le stime dell’Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia, e cioè soprattutto nei comuni e nelle province del centro e sud Italia.
La regione che ha realizzato più interventi, in numero assoluto, è la Lombardia (con 1145 edifici coinvolti), seguita da Calabria (686 scuole) e poi Sicilia (665), Puglia (662) e Veneto (602). Spicca la Campania per numero di interventi sugli stessi edifici, un dato che sembra fuori scala rispetto alle altre regioni (252 scuole con 1041 interventi).
È purtroppo molto difficile capire quale tipo di lavori siano stati eseguiti o in corso. In pochi casi infatti è esplicito il riferimento all’adeguamento antisismico o alla messa in sicurezza. In altri casi si parla di ‘apertura di una finestra e adeguamento alle norme anti-incendio’ o di generica ‘manutenzione straordinaria’ così come di sistemazione palestre, aule speciali e così via.
La fotografia dei cantieri delle scuole italiane è molto complessa e la storia dei finanziamenti e dei lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza è lunga e contorta e non sempre facile da ricostruire. Purtroppo anche i dati forniti, così come quelli disponibili in open data sul sito cantieriscuole.it, curato dalla Presidenza del consiglio dei ministri che fa un monitoraggio puntuale della situazione dell’edilizia scolastica, non aiutano a capire quanto si stia facendo in ogni scuola e a distinguere tra interventi minori, come ad esempio piccole ristrutturazioni, e una messa in sicurezza molto seria, come possono essere lavori per rendere la scuola più resistente a un terremoto.
A partire dal 2013, terminato il primo giro di valutazioni della vulnerabilità degli edifici a dicembre 2012 e fatto il punto sui lavori effettivamente eseguiti, diverse linee di finanziamento sono state messe in campo sulle scuole, sia a livello nazionale, con fondi erogati da diversi Ministeri fino ai programmi più organici avviati direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la legge sulla Buona Scuola del luglio 2015.
Alcune Regioni hanno poi attivato fondi anche attraverso altri canali di finanziamento, in particolare la Lombardia, la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Toscana e la Campania. Le rimanenti regioni, in base al database aggiornato di cantieriscuole.it al momento non compaiono come enti erogatori.
Oltre ai vari interventi di ristrutturazione, sono state fatte anche delle indagini diagnostiche sui solai, volte a capire la solidità delle strutture e anche di alcuni elementi non strutturali. I fondi arrivano dal Miur ma anche in questo caso le richieste e quindi le indagini avviate sono circa 7300 indagini di cui concluse più di 6100. Dai dati vediamo che il numero di indagini richieste dagli enti locali delle regioni del Nord è quasi il doppio di quelle del centro e sud Italia. Dato il peso dell’indice di rischio sismico, decisamente più elevato nel centro e sud Italia, nella composizione della graduatoria, una domanda plausibile da porsi sarebbe quella di capire se i comuni e le province di molte regioni del centro e sud non abbiano fatto richiesta perché ritengono di avere scuole già con elevato grado di sicurezza o se le ragioni siano di altra natura.
In definitiva, aver messo a posto poco più di 7.100 scuole su 42mila, poco più del 15%, è senz’altro un risultato importante, considerato che sta avvenendo quasi tutto negli ultimi tre anni (tra il 2003 e il 2014 sono state sistemate appena 1500 scuole). Ma non basta e soprattutto non è sufficiente, per quanto apprezzabile, lo sforzo di trasparenza che Miur e Presidenza del consiglio dei ministri stanno facendo anche sul fronte dell’apertura dei dati al pubblico.
Non siamo ancora in grado, nonostante le numerose tabelle consultabili, di poter dire cosa è stato fatto nelle scuole che ci interessano, per esempio quelle dei nostri figli, quali interventi, quale messa in sicurezza. Non possiamo distinguere tra un piccolo adeguamento e una ristrutturazione che tocca gli elementi critici. Nella gran parte dei casi, non sappiamo come sono stati fatti i lavori, se c’è stata, come in molti casi, una operazione al ribasso. Così, quando crolla una scuola appena ristrutturata, come quella di San Giuliano nel 2002 o quella di Amatrice lo scorso anno, è naturale indignarsi perché scopriamo che il fatto che ci sia stata una ristrutturazione non è di per sé una garanzia per la messa in sicurezza.
Che sia complicato lavorare su un patrimonio edilizio complesso e vecchio (meno della metà delle scuole italiane è stata costruita dalla seconda metà degli anni ‘70 in poi), distribuito su un territorio molto difficile e caratterizzato da diversi tipi di rischio, a partire appunto da quello sismico, è indubbio.
Ma che la strada per mettere in sicurezza 8 milioni di studenti e più di un milione di lavoratori tra docenti e altro personale che ogni giorno passano in aula diverse ore della propria vita sia ancora molto lunga è una certezza.
Un punto di partenza certo è senz’altro il 31 ottobre 2002, quando a causa di un terremoto di magnitudo 6, la scuola di San Giuliano di Puglia, un paese di 1000 abitanti in Molise, crollò uccidendo 27 scolari e una insegnante. La scuola era stata appena ristrutturata, elevata di un piano e dotata di un nuovo tetto con solaio in cemento armato. Un tetto che si rivelò fatale perché rimase intatto e schiacciò completamente la struttura intrappolando bambini e adulti. L’inchiesta si chiuse con cinque condanne definitive.
Sull’onda dell’emozione l’allora premier Silvio Berlusconi fece approvare in tutta fretta una ordinanza del presidente del consiglio dei ministri (l’OPCM n.3274) a marzo 2003 per avviare, con appositi finanziamenti, una valutazione della vulnerabilità sismica del patrimonio di edilizia pubblica italiana, a partire dai comuni ad alto rischio. Molta enfasi fu data proprio alle scuole tanto che lo stesso anno fu approvato il “Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici” addirittura inserito nella finanziaria 2003.
Purtroppo, al di là dell’enorme partecipazione emotiva e delle dichiarazioni enfatiche, lo sforzo reale di valutazione della pericolosità sismica nel paese fu nei fatti molto ridotto negli anni successivi. Una lunga inchiesta giornalistica pubblicata su Wired nell’autunno 2012 appurò che a dieci anni dal terremoto di San Giuliano solo poco più di 3000 scuole erano state verificate. Nemmeno il 10% delle scuole italiane e poco più del 15% di quelle considerate ad alto rischio. Al tempo stesso, sempre nel corso di quella inchiesta, diversi esperti nel campo dell’ingegneria sismica hanno confermato che più del 50% del patrimonio edilizio scolastico italiano non è sicuro e, in molti casi, è ad alto rischio. Purtroppo negli ultimi anni gli episodi di crolli di scuole sono stati numerosi. Scuole sono state danneggiate sia a L’Aquila nel 2009 che in Emilia-Romagna nel 2012. E il 24 agosto del 2016 il terremoto di Amatrice ha fatto crollare completamente una parte della scuola che era stata ristrutturata con tanto di miglioramento antisismico solo nel 2012.
Ma le scuole non crollano solo a causa dei terremoti. Uno degli ultimi casi è il distaccamento di un cornicione della palestra dell’Istituto superiore Vallauri di Fossano, in provincia di Cuneo, che essendo avvenuto ad agosto non ha avuto conseguenze tragiche. Stesso risultato, fortunatamente, per il cedimento del solaio di un’aula dell’Istituto superiore Giancarlo Siani di Napoli il 3 aprile scorso, avvenuto di notte. Dinamica simile per un altro fatto avvenuto solo poche settimane prima, a marzo, quando il solaio di un’aula di scuola elementare a Sarno è crollato poco prima dell’orario di apertura della scuola.
Nel novembre 2016 un cornicione si è staccato abbattendosi sui gradini del giardino interno della scuola media Niccolò Pisano a Marina di Pisa. Per fortuna è successo di pomeriggio. Nello stesso mese, un tubo dell’acqua si è rotto nella primaria Ferrara a Palermo, allagando la scuola e facendo cedere il controsoffitto. La scuola era stata appena ristrutturata e in via di collaudo. Solo un mese prima, a ottobre 2016, si sono staccati i soffitti in due scuole, a Torino e a Padova. E così via, fino a risalire al tragico crollo del 22 novembre 2008, quando il soffitto dell’aula della IV G si è abbattuto sulla classe che stava facendo lezione uccidendo il diciassettenne Vito Scafidi e lasciando paralizzato a vita un altro studente, Andrea Macrì. Per quel disastro la Cassazione ha confermato le 6 condanne nei confronti dei tre responsabili della sicurezza della scuola, tra cui alcuni insegnanti, e di tre dirigenti della Provincia, l’ente che gestiva la scuola.
Decine di decreti e leggi approvate, oltre 15 anni di programmi di diagnosi e valutazione dello stato di salute degli edifici scolastici italiani e poi di stanziamenti e piani di ristrutturazione hanno portato, a oggi, a un risultato ancora molto ridotto. Solo 7100 scuole sono state ristrutturate su oltre 42000. Numeri che da soli denunciano la lentezza e soprattutto l’inefficienza del sistema di gestione del patrimonio edilizio scolastico del nostro paese. Un sistema che pare essersi messo in moto realmente solo negli ultimi tre anni.
Da un documento pubblicato sul sito del Dipartimento della programmazione economica, che riassume il lungo iter di delibere per interventi nelle scuole, leggiamo infatti che a causa di vari ritardi, difficoltà nella concessione dei mutui da parte della Cassa depositi e prestiti e altre problematiche di varia natura, il CIPE prende atto nel 2014 che al 31 dicembre 2013 sono stati attivati in tutto, a partire dal 2003 (l’anno dell’Ordinanza emessa da Berlusconi dopo il crollo della scuola di san Giuliano), solo poco più di 1350 interventi nelle scuole e solamente 536 di questi erano conclusi. Su 42mila scuole, oltre 10 anni dopo l’avvio di tutto il piano.
La normativa per la messa in sicurezza esiste e risale al 1996, quando fu approvata la legge 23/96 che prevede una programmazione triennale e annuale per i lavori di ristrutturazione e per la costruzione di nuove scuole. La legge indica con una certa chiarezza il percorso da fare: l’ente locale (comuni o province, proprietari degli edifici delle scuole primarie e secondarie di primo grado i primi e delle scuole secondarie di secondo grado le seconde) fa richiesta di fondi alla regione. Le richieste sono raccolte e valutate a livello regionale e poi trasmesse al Ministero dell’Istruzione.
Un percorso preciso ma che non si è tradotto in un processo di rinnovamento del patrimonio edilizio scolastico. Perché? Uno degli ostacoli principali addotti dalle amministrazioni locali era il vincolo di bilancio, la mancanza di risorse nelle varie finanziarie e tutta una serie di altre problematiche di natura burocratica e finanziaria. Per questo, un certo fervore si è visto solo negli ultimi anni, quando una serie di decreti ha sbloccato i fondi dedicati alle scuole e ha rilanciato i cantieri e la messa in sicurezza.
Nel 2014 viene lanciato il piano nazionale dell’edilizia scolastica voluto da Matteo Renzi che stabilisce un fondo unico per i cantieri delle scuole che arriva sostanzialmente alla cifra indicata in apertura, e cioè 3,9 miliardi di euro. Il piano prevede anche la realizzazione dei programmi #scuolesicure e #scuolenuove. I finanziamenti vengono distribuiti con diverse delibere e strumenti. Per esempio, la delibera Cipe del 30 giugno 2014 stanzia 400 milioni di euro gestiti dal Miur per poco più di 1600 interventi. Altri 150 milioni vengono dal ‘Decreto del Fare’, approvato a fine 2013, che include due linee di finanziamento, quella chiamata #scuolesicure gestita dal Miur e il programma ‘6000 campanili’ in capo al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti che stanzia 100 milioni di euro per opere di piccola entità nei comuni sotto i 5000 abitanti.
Il programma #scuolenuove lanciato da Renzi a marzo 2014 raccoglie 4400 richieste per la costruzione di nuove scuole o per varie operazioni di messa in sicurezza di cui solo 404 vengono accolte entro il giugno 2014. Sono le richieste presentate da amministrazioni che espressamente richiedevano solo lo sblocco del Patto di stabilità per poter partire.
Lo sblocco è avvenuto con la legge 66/2014 che ha permesso a oltre 450 comuni di aprire nuovi cantieri per la costruzione di nuove scuole o la ristrutturazione completa di quelle esistenti. L’importo medio di ciascun cantiere è stimato in circa mezzo milione di euro. 122 milioni di investimenti vengono inclusi nella legge di stabilità del 2014 e altrettanti per il 2015 per i comuni mentre alle province e città metropolitane vengono sbloccati 50 milioni di euro per il 2015 e altrettanti per il 2016.
Arriviamo al 2015 quando ci sono altri due passaggi importanti. Il primo è il decreto interministeriale del 23 gennaio 2015, emesso dal Ministero dell’economia assieme al Miur e al Ministero dei Trasporti e infrastrutture che regolamenta le operazioni di mutuo che le regioni possono effettuare per interventi di edilizia scolastica. Si tratta dei cosiddetti Mutui BEI e secondo i dati forniti dal Miur ad AGI grazie a questi mutui sono stati avviati 1556 cantieri e ne sono stati conclusi 435: di questi, 876 cantieri sono in Italia settentrionale, 266 nelle isole, 237 nelle regioni del Sud e 196 in quelle dell’Italia centrale.
Un ulteriore passo avanti è stato fatto con la legge n. 107, detta “La buona scuola” che ha stanziato 40 milioni di euro per fare indagini diagnostiche degli edifici scolastici per la garanzia della sicurezza e la prevenzione dei crolli di solai e controsoffitti. Gli interventi di diagnosi sono stati avviati entro la fine dello stesso anno: entro l’autunno il Miur ha stabilito i criteri e le modalità per l’accesso ai fondi da parte degli enti locali e ha fatto l’avviso pubblico. Alla scadenza dei termini, il 18 novembre, più di 1500 amministrazioni locali avevano fatto richiesta per svolgere gli interventi diagnostici. La graduatoria si basava su un sistema di punteggi che davano particolare rilevanza all’età dell’edificio (con precedenza per quelli costruiti prima del 1970), all’indice di rischio sismico e ad altri elementi.
Ad AGI, che ha fatto richiesta di accesso ai dati del Miur e ha ottenuto i dati riassuntivi degli interventi finanziati per macroarea, la dirigente Alessandra Augusto ha spiegato che questi finanziamenti sostanzialmente derivano da un fondo precedentemente gestito dal Dipartimento della Protezione Civile e poi passato in capo al Miur. Augusto ha specificato che al di là delle scuole rientrate nella graduatoria, altre scuole potrebbero accedere ai finanziamenti nei prossimi mesi perché, in modo molto dinamico, i soldi risparmiati dalle economie di gara di una scuola vengono reinvestiti su quelle successive e quindi è possibile che i numeri di scuole beneficiarie aumentino.
Infine, nel marzo 2016 è stato approvato il decreto del Presidente del consiglio dei ministri n.27, detto anche “#sbloccascuole”, che prevede uno stanziamento pari a 480 milioni di euro per interventi sulle scuole da effettuarsi a partire proprio dalla normativa del 1996. Lo #sbloccascuole è stato poi confermato nel 2017. Nel 2016, la cifra totale impegnata è stata pari a più di 336 milioni e 505mila euro, mentre nel 2017 siamo a poco meno di 183 milioni di euro per 567 edifici coinvolti, di cui 570 in comuni e circa 30 in province e 30 in città metropolitane.
Ci sono altri piccoli pezzi di finanziamenti e di lavori svolti, c’è un capitolo di spesa interamente dedicato alle scuole abruzzesi e un altro che è dedicato solo all’adeguamento sismico in capo al Dipartimento di Protezione civile addirittura risalente al 2003 e in parte impiegato in questi ultimi anni, che ha interessato 174 scuole, molte delle quali in Calabria, Campania, Lazio e Sicilia per un totale di poco meno di 104 milioni di euro. E poi ci sono i fondi dei Patti per il Sud (283 milioni di euro per circa 280 edifici) e perfino un minuscolo capitolo di spesa dell’8 per mille per le scuole, che ha dato poco più di 4 milioni di euro a ben 4 scuole.
Tanti piani e molti soldi impegnati. Ma ancora molto da fare per mettere davvero in sicurezza le scuole del paese.