Cena della Vigilia o pranzo di Natale?
Pesce o carne? Tortellini o lasagne?
Qualunque sia la tradizione, siamo tutti indaffarati a scegliere il menù, ad allestire la tavola, a pensare agli ospiti, a sistemare la casa, gli addobbi, i regali e chi più ne ha più ne metta, tutto rigorosamente esclusivo e particolare, secondo i propri gusti, mode o stili personali.
Tutte queste scelte determinano la qualità della festa: un rito che, attraverso questo pasto, aggrega e riunisce le famiglie per condividere e celebrare questo giorno speciale.
La sola certezza che mette tutti d’accordo è la scelta del dolce, l’unico ed insostituibile che da sempre caratterizza questa festa: il panettone!!!!

Fin dal 1200, nei forni milanesi, veniva cotto il pane tipico di queste feste tutto l’anno, ma solo nel periodo natalizio superava i 500 g. Francesco Cherubini, nel suo vocabolario Milanese-Italiano (1814), lo descriveva così: “Specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina o sultana (ughett), grande di una o più libbre sogliamo farlo soltanto per Natale”. Il panettone, dunque, era il nome dato per la forma di questo pane, più grande rispetto agli altri prodotti da forno.
Col passare del tempo, questo impasto speciale si è impreziosito di altri ingredienti, soprattutto spezie, quali zenzero, cannella, pepe e chiodi di garofano.
Da sempre infornato senza nessun tipo di stampo, nel 1920, Angelo Motta ebbe la brillante idea di fasciare l’impasto con carta paglia, dandogli così uno slancio verso l’alto e la tipica forma a fungo o a cappello da cuoco.

Come per tanti alimenti locali, anche la nascita del panettone è collegata ad alcune leggende ambientate nella Milano del 1400.

  • La prima narra che Ughetto, figlio del condottiero Degli Atellani, commissionò al pasticciere Toni, padre dell’amata Adalgisa, un pane speciale per fare colpo su di lei. Il pane dolce, preparato con burro, uova, zucchero, cedro e arance canditi, ebbe un successo strepitoso, tanto che molti nobili iniziarono a regalare alle proprie innamorate il ”pan del Toni”.
    Un’altra versione narra che si fece proprio assumere dal fornaio e inventò lui stesso il fortunato dolce.
  • La seconda leggenda chiama in causa i cuochi della Corte di Ludovico Sforza, più precisamente Toni, l’addetto al forno che, per una distrazione, fece bruciare la parte esterna della cupola di un pane contenente acini d’uva, esaltando così la particolarità del dolce.
    Anche di questa leggenda ne esiste una seconda versione: il pasticciere della corte di Ludovico il Moro bruciò il dolce regale e fu proprio l’apprendista Toni ad improvvisare il dolce con gli ingredienti che aveva a portata di mano (pane, zucchero, uvetta e frutta candita) e a salvare così il pranzo del duca.
  • Un’altra leggenda è collegata alla figura di s. Biagio: poco prima di Natale, una signora andò dal frate Desiderio per far benedire una fetta di panettone, ma in quel momento le disse che era troppo occupato e di lasciargliela che l’avrebbe benedetta l’indomani. La signora se ne dimenticò, fino al 3 febbraio quando ritornò dal frate per riprendersi la fetta. Il religioso, che era molto goloso, se l’era mangiata, ma cercando qualche scusa, accompagnò la signora dove aveva lasciato l’involucro e, con grande stupore vide che era apparso un intero panettone.
    Questa apparizione fu attribuita a San Biagio, protettore della gola, che si festeggia proprio il 3 febbraio: medico e vescovo cattolico, vissuto tra il II e il IV sec. in Asia Minore salvò un giovane, che si stava soffocando con una lisca, dandogli un pezzo di pane che, scendendo in gola, rimosse la lisca salvandolo.
    Da qui, la tradizione vuole che l’ultimo panettone superstite delle feste natalizie si mangi il 3 febbraio, raffermo e a digiuno, come gesto propiziatorio contro i mali della gola e i raffreddori: ”San Bias el benediss la gola e el nas”.
  • Nella “Storia di Milano” (1783), il conte Pietro Verri narra invece che, sin dall’ XI sec., la divisione tra il pane dei poveri (pan de mej) e il pane dei ricchi (micca) almeno il giorno di Natale non doveva sussistere: tutti potevano consumare lo stesso pane, simbolo di uguaglianza e condivisione (Pan de sciori o Pan de Ton, il pane di lusso).

Si mangia con le mani!!!
Ebbene sì! Esiste un galateo anche per il panettone: si tiene in mano con la sinistra e si portano alla bocca delle piccole porzioni con la destra.
Solo se è accompagnato da una crema, viene servito su un piattino, sdraiando la fetta e irrorandola con la crema. Con la forchettina da dolce si tiene ferma la fetta, mentre con il cucchiaio si taglia la porzione di panettone ed eventualmente si finisce la crema.
Non deve essere portato in tavola col caffè, ma prima o con la frutta di stagione.

Il Panettone riflette la sua popolarità anche nella cultura popolare attraverso stereotipi o detti locali per descrivere oggetti o modi di vivere: il “panettone stradale”, lo spartitraffico dall’omonima forma; “che bel panettone!”, metafora per indicare un lato B femminile ben tornito; “quello non mangia il panettone!”, si dice di qualcuno che rischia di perdere il posto di lavoro. Tutto a sottolineare la sua diffusione e il suo valore simbolico.

 

Source: www.ifood.it

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