di Maurizio Dematteis *
Fino agli anni ‘60 la cottura nei forni del villaggio era di vitale importanza per le comunità del massiccio francese dei Bauges. Si trattava di un’attività gestita collettivamente, a partire dalla produzione di grano e farina alla preparazione e riscaldamento del forno, fino alla realizzazione del pane. E una volta finita la panificazione, il forno ancora caldo era il luogo per le pratiche sociali. Poi tutto finì. Ma dagli anni ‘90 gli abitanti locali sono tornati sensibili a questo valore patrimoniale del paese, pianificando la rinascita di forme contemporanee di panificazione e di rivitalizzazione semplicemente organizzando feste dedicate.
Nelle valli valdesi italiane, da sempre, il forte senso di identità sociale e culturale, oltre che religioso, si riflette anche sulle tradizioni e sulle abitudini alimentari. Da tempo immemorabile infatti si prepara la mustardela, un insaccato prodotto con sangue e avanzi della macellazione del maiale, espressione della fondamentale importanza del “non buttare via niente”, che da sempre caratterizza l’economia familiare di montagna. La mustardela viene poi accompagnata dalla preparazione della supa barbetta, una minestra che prende il nome dall’appellativo dispregiativo di “barba” attribuito ai valdesi. Oggi la supa barbetta è fatta con brodo di carne, mentre un tempo era fatta con le ossa, e grissini, un tempo con pane raffermo, il tutto condito, ieri come oggi, con formaggio locale. Ancora oggi mustardela e supa barbetta vengono preparati per le occasioni speciali, come i pranzi comunitari organizzati da sempre il 17 febbraio, “Festa delle libertà civili”.
In Slovenia la preparazione del formaggio Tolmin, tipico delle Alpi Giulie meridionali, secondo la leggenda è stata insegnata agli abitanti del posto “dall’uomo selvaggio”, a partire da metà del XVII secolo. Un tempo il formaggio Tolmin era il mezzo di pagamento per le tasse dovute al signore della terra, oggi viene realizzato secondo regole rigorose in materia di quantità e preparazione, ed è un prodotto che ha dato vita a un mercato fiorente di cui beneficiano i produttori dell’intera area dell’Alta valle dell’Isonzo.
Collante per sei Paesi
Questi sono alcuni dei tanti esempi del patrimonio alimentare alpino che ancora oggi persiste sulle nostre montagne, e si tratta del più forte collante identitario rimasto sull’intero arco alpino. Ci sta lavorando un progetto Alpine Space, denominato “AlpFoodway”, che vede impegnati quattordici partner di sei Paesi alpini (Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria e Slovenia), coinvolge quaranta realtà locali in qualità di observer, insiste su dieci aree pilota di studio, per un tema, quello del cibo, che coinvolge potenzialmente i 70 milioni di abitanti sui 450.000 km2 dell’Euroregione Eusalp. L’obiettivo di “AlpFoodway” è studiare questo patrimonio culturale intangibile legato al cibo, cercando di individuarne le caratteristiche comuni all’interno delle terre alte dei sei Paesi interessati. Il progetto parte dalla consapevolezza che la cultura alimentare è un elemento vivo e fondamentale dell’identità alpina: ancora oggi, la produzione del cibo, le ricette tradizionali e i rituali che ne circondano la preparazione e il consumo raccontano il rapporto tra le popolazioni di montagna, l’ambiente naturale e il paesaggio. Il patrimonio alimentare svolge un ruolo di collante all’interno delle comunità locali ed è un importante veicolo di integrazione per chi ne entra a far parte.
Una mappa di ciò che (r)esiste
Ma questo patrimonio unico contenuto nelle foodway alpine, a causa dello spopolamento, dell’invecchiamento della popolazione e della globalizzazione, oggi rischia di entrare in crisi e un domani di scomparire. Per contrastare questo fenomeno il progetto “AlpFoodway” è partito dalla mappatura del patrimonio alimentare tradizionale ancora esistente, per poi scendere sul campo delle comunità alpine a raccogliere testimonianze e storie originali e inedite, e inserirle in un inventario internazionale comune, ancora in fase di realizzazione, consultabile online. Il passo successivo, nel quale sono impegnati i 14 partner europei, è quello di costruire un modello di sviluppo sostenibile per aree alpine periferiche basato sulla conservazione e la valorizzazione dei patrimoni culturali alimentari, attraverso l’utilizzo di innovativi strumenti di marketing e di governance.
Infine, i risultati del lavoro porteranno i partner alla costruzione di un dossier per la candidatura internazionale del patrimonio alimentare alpino all’iscrizione nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Un lavoro complesso, un obiettivo ambizioso, che ha portato “AlpFoodway” a essere selezionato dalla Commissione europea come uno dei progetti faro dell’Anno europeo del patrimonio culturale (European year of cultural heritage, Eych 2018).
“Il patrimonio culturale è al centro del modello di vita europeo. Definisce chi siamo e crea un senso di appartenenza – ha detto il commissario europeo Tibor Navracsics nel presentare Eych 2018 – Non è fatto solo di letteratura, arte e oggetti, ma anche dei saperi artigianali tramandatici, delle storie che raccontiamo, del cibo che mangiamo e dei film che vediamo. È necessario preservare il nostro patrimonio culturale e farne tesoro per le generazioni future”. Anche sulle Alpi.
* direttore dell’Associazione Dislivelli
Source: lanuovaecologia.it
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