«Quel che i nazisti chiamano dio, non è il Dio cristiano!»
Dio dei nazisti. Riprendiamo le parole che il grande nemico di Hitler, il vescovo di Münster, Clement August Von Galen, riferì a Pio XI, le quali confermano d’altra parte le dichiarazioni del segretario del Führer, Martin Bormann sull’incompatibilità tra nazionalsocialismo e cristianesimo.
Abbiamo già mostrato quanto il pensiero di Hitler verso il cristianesimo fosse profondamente negativo e che tra la Chiesa Cattolica e il regime nazista vi fosse stata una reciproca ostilità.
Vi è tuttavia ancora chi, contro l’evidenza storica, dipinge il nazismo come un movimento cristiano quando, in realtà, il Führer e altri gerarchi nazisti ribadirono più volte che la loro ideologia non era legata ad alcuna confessione religiosa.
Era invece basata sulla scienza: «Nazionalsocialismo e cristianesimo sono incompatibili. Le Chiese Cristiane si reggono sull’ignoranza degli individui (…) Al contrario, il nazionalsocialismo poggia su basi scientifiche» affermava la circolare inviata da Martin Bormann ai Gauletier tedeschi il 6 giugno del 1941.
Come è noto, la concezione scientifica nazista presupponeva l’esistenza di una razza superiore che avrebbe dovuto dominare a discapito delle altre, anche se a dire il vero, la convinzione dell’esistenza di razze inferiori da sottomettere o eliminare non fu una prerogativa del solo nazismo.
Quando gli europei diedero il via nel XIX secolo alle conquiste coloniali, elaborarono teorie scientifiche nella quale consideravano loro stessi una razza superiore alle altre, e ciò fu possibile grazie alla banalizzazione del darwinismo sociale.
Si definiva infatti che la scomparsa delle razze inferiori era dovuta alla “concorrenza spietata” che si verificava anche nel mondo naturale (cfr. B. Bruneteau, Il secolo dei genocidi, Bologna 2005 pp. 45-53).
Una volta al governo, i dirigenti nazisti applicarono perciò i principi dell’igiene razziale e questo significava adottare una nuova morale, in radicale antitesi con quella cristiana, in quanto basata esclusivamente sui presunti interessi collettivi della razza tedesca.
Questo presupposto è osservabile anche nelle questioni riguardanti il divorzio e l’aborto. Nei confronti di quest’ultimo il Terzo Reich non si mostrò pregiudizialmente contrario e difatti, pur inasprendo e applicando con maggiore severità le leggi già esistenti contro l’interruzione di gravidanza, depenalizzò tuttavia gli interventi abortivi se effettuati per motivi terapeutici, eugenetici o da donne ebree.
Allo stesso modo, per incentivare la natalità, i nazisti rifiutarono il concetto cristiano di indissolubilità del matrimonio ed emaneranno una legge matrimoniale che prevedeva la possibilità che un coniuge fertile potesse presentare istanza di divorzio per presunta infertilità o per rifiuto a procreare da parte dell’altro partner.
Tre anni di separazione o irrimediabile dissesto dell’unione coniugale furono inoltre riconosciute come legittime ragioni di annullamento del matrimonio.
Il Vaticano protestò per la questione del divorzio, ma le sue proteste non ottennero alcun esito (cfr. Richad J. Evans, Il Terzo Reich al potere, Milano 2005 pp. 479-480 e 484-485).
Un altro punto di scontro tra la Chiesa Cattolica e il Terzo Reich riguardò la questione della sterilizzazione forzata.
Volendo eliminare tutti quelli elementi considerati una degenerazione razziale, i nazisti adottarono già nel ’33 una legge sulla “Prevenzione delle malattie ereditarie” che imponeva l’obbligo della sterilizzazione per gli individui affetti da determinate patologie (epilessia ereditaria, psicosi maniaco-depressiva, sordità congenita, gravi forme di alcolismo…) e questo provvedimento portò alla sterilizzazione forzata di oltre 360.000 persone durante i dodici anni di vita del regime.
Quando la Chiesa Cattolica si oppose alla sterilizzazione forzata, ideologi nazisti come Gerhard Wagner, capo della Camera dei medici, vi indicarono l’ennesimo capitolo della lunga lotta tra l’oscurantismo religioso e i lumi della scienza, ineluttabilmente destinati a trionfare (cfr. Richard J. Evans, Il Terzo Reich al potere, p.480).
In quel periodo non fu solo la Germania ad applicare politiche sulla sterilizzazione in quanto provvedimenti simili furono attuati anche in molti stati americani ed europei, ma solo i nazisti giunsero ad effettuare l’omicidio di malati psichici.
Negli anni del conflitto, la Germania Nazista avviò difatti lo sterminio dei disabili e malati mentali attraverso il programma di eutanasia “T4” che comportò la morte di oltre 70.000 persone.
Nonostante i tentavi nazisti per tenere questo piano segreto, presto le voci degli omicidi si espansero tra la popolazione.
Frequenti furono le proteste dei prelati contro l’uccisione dei malati psichici, e la più importante di esse fu la predica del vescovo di Münster, Clement August Von Galen, tenuta nella sua cattedrale il 3 agosto 1941 che denunciava l’uccisione di quelle che i nazisti definivano “vite improduttive”:
«Vengono adesso uccisi, barbaramente uccisi, degli innocenti indifesi (…) Siamo di fronte ad una follia omicida senza eguali…
Con coloro che consegnano persone innocenti, nostri fratelli e nostre sorelle, alla morte, con essi noi vogliamo evitare ogni rapporto, noi vogliamo sfuggire la loro influenza per non essere infettati».
La predica ebbe un’enorme risonanza al punto da essere distribuita in Germania non solo dagli oppositori del regime (comprese persone protestanti ed ebree), ma anche dalla Royal Air Force britannica.
È noto che Martin Bormann giunse a proporre l’impiccagione del vescovo, ma Goebbels si oppose per motivi politici («Tutta la Westfalia andrebbe persa per l’impegno bellico se ora si procedesse contro il vescovo» fece notare), suggerendo quindi di rimandare la vendetta al termine della guerra.
Per evitare risvolti negativi sul morale della popolazione tedesca nel momento in cui aveva iniziato da poco tempo la sua campagna più difficile ovvero l’invasione dell’Unione Sovietica, il dittatore tedesco decise perciò di ascoltare il consiglio del suo ministro, promettendo che dopo la vittoria avrebbe regolato i conti col vescovo «fino all’ultimo centesimo».
Per lo stesso motivo Hitler deciderà di sospendere l’operazione Aktion T-4, anche se in realtà, le uccisioni di malati psichici continueranno sotto banco fino alla fine del conflitto, seppur non più su larga scala.
Sebbene il regime non osò colpire personalmente Galen, questi venne tuttavia sottoposto a pressioni per impedirgli di parlare in pubblico, e inoltre i nazisti colpirono al suo posto sacerdoti e laici (per esempio, ad Amburgo, il 10 novembre 1941, furono decapitati tre sacerdoti cattolici e un pastore protestante per aver diffuso le prediche del vescovo).
Nella sola diocesi di Münster si contarono 566 sacerdoti diocesani e 96 religiosi che furono trascinati davanti ai tribunali, e trentasette internati nei campi di concentramento (cfr. S. Falasca, Un vescovo contro Hitler, Milano 2006 pp. 42-49).
Non si può dunque fare a meno di notare la radicale contrapposizione tra la visione del mondo nazionalsocialista e quella cristiano-cattolica: «Noi abbiamo a che fare con un avversario che non conosce verità e fedeltà. Ciò che essi chiamano Dio non è il nostro Dio: è qualcosa di diabolico» dichiarò Galen a Pio XI. Un pensiero condiviso sia dal papa che dal suo successore, Pacelli. Fonte UCCR
Source: http://www.informarexresistere.fr