“Mi stupisce la semplicità con cui ciò che è successo alla sposa bambina di Indro Montanelli viene trattato e l’emozione che genera da parte degli africani. Il mio è un ragionamento un po’ provocatorio, anche sull’ipocrisia di quelli che interpretano il ruolo di eterne vittime”. Inizia così il contributo che Yvette Samnick, scrittrice, mediatrice culturale e fondatrice dell’Associazione camerunense di lotta contro la violenza sulle donne (Aclvf), ha voluto inviare all’agenzia di stampa Dire per intervenire sulla querelle nata nelle ultime settimane sulla richiesta di rimozione della statua di Indro Montanelli dai giardini di Porta Venezia a Milano.
“Marco Travaglio in un’intervista ha affermato che Montanelli era ‘figlio della sua epoca’“, continua Samnick, che ha raccontato la sua storia nel libro ‘Perché ti amo’ e si è formata nell’ambito del progetto della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re per donne migranti richiedenti asilo e rifugiate sopravvissute alla violenza ‘Leaving violence, living safe’. “Non è assolutamente vero e mi sono chiesta che cosa cercasse di giustificare con queste parole- scrive- È un’ipocrisia, forse riferita al fatto che la bambina non era una ragazzina bianca quindi Montanelli aveva diritto di comprarla perché gli era stata consegnata dai genitori stessi? Se un uomo come lui, proveniente da una realtà dove esistono leggi che impediscono questo tipo di azioni, dove la bambine sono protette e tutelate, perché da uomo bianco ed ‘evoluto’ investito della ‘missione incivilimento dei popoli indigeni’ si è ritrovato ad accettare un tale abominio quando aveva la possibilità di scegliere di rifiutarlo? Questo la dice lunga sull’ipocrisia e sulla complicità che su questo tema esistono. Ci sono state molte ‘missioni di civilizzazione’ in Africa- continua la scrittrice- Ci hanno imposto la democrazia, la religione cristiana. Ci potevano imporre anche il rispetto dei diritti delle bambine. Ma, visto che eravamo considerati come una proprietà dai popoli colonizzatori, questo non è accaduto”.
Sottolinea Samnick nel suo articolo: “Di Montanelli ancora oggi ne continuano ad esistere, nel silenzio e nella complicità di tutti. La città balneare di Kribi, in Camerun, ad esempio, è uno dei luoghi di vacanza preferiti dagli occidentali. Lì, più della metà delle ragazzine tra i 15 e i 18 anni hanno già un figlio. Si tratta di bambini a maggioranza mulatti. E alto è il tasso delle malattie sessualmente trasmissibili, come l’Aids. Tanti Montanelli ogni anno vanno in giro per il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, a stuprare o a fare sesso con delle bambine che vivono in situazioni di grande disagio e povertà. Si approfittano di questa debolezza per soddisfare i loro vizi di pedofilia. Di questo, però, non parla nessuno”.
Prosegue l’attivista: “Io non credo a questa sacra emozione che oggi suscita il caso di Destà, successo decenni fa. Non abbiamo bisogno di distrazione, con cui ci hanno manipolato nei secoli e che ancora oggi viene utilizzata senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Bisogna smettere di parlare al posto nostro. Non siamo più all’epoca dell”emozione è negra’ di Leopold Sedar Senghor e questo lo devono capire prima di tutto i neri. Oggi abbiamo gli strumenti per farci sentire, invece di fare le eterne vittime, che si lamentano sempre, che piangono, che hanno bisogno del consenso dell’uomo bianco per parlare ed essere ascoltate. Non abbiamo bisogno di qualcuno che parli al nostro posto, noi rivendichiamo ciò che spetta ad ogni essere umano: considerazione e diritti. Ogni bambina, ogni donna è uguale, non importa la sua provenienza, il colore della sua pelle”.
Conclude Samnick: “Io da africana non firmo nessuna petizione per la rimozione della statua di Montanelli, perché, secondo me, non ha nessuna importanza. Perché significa reagire con emotività e io sono ragionevole e obiettiva. Se la statua viene rimossa, il danno non viene assolto. Non mi cambia la vita come non cambia la vita di milioni di donne africane che subiscono ingiustizie e razzismo. Il problema è un altro e se molti attivisti africani si fossero fermati a pensare, non ne avrebbero chiesto la sua rimozione. Per me dovrebbe rimanere dove sta e, per dovere della memoria, andrebbe scritta la verità su quella statua, ciò che ha veramente fatto Montanelli, nel bene e nel male. Si deve lottare per quelli che sono ancora vivi senza cancellare la memoria né trascurare quelli che hanno perso la vita. Invece di fare dibattiti e petizioni sulla statua di Montanelli morto, bisogna cominciare a guardare ciò che accade vicino a noi, perché ancora oggi esistono migliaia di Montanelli vivi. Quindi, se volete lottare, andate ‘alla caccia’ dei Montanelli di oggi, perché quello con cui cercano di distrarci non può più fare del male a nessuno”.