Sera d’estate, baretto, chiacchere finalmente rilassate dopo essersi dette le cose importanti, quelle che ci divertono e quelle che avevamo bisogno di raccontare. In questo clima tranquillo e spensierato, un’amica si gira con un sorriso lieve e mi dice: che poi, che cosa è voluto dire, per noi, crescere negli anni ’90? Una domanda buttata lì, con leggerezza, dopo aver parlato della nostra generazione – ripercorrendo pezzi d’infanzia e facendo i conti con il presente. E non faccio in tempo a formulare qualcosa di più profondo e ragionato, che non so per quale motivo subito penso a una voce – quella di Dolores O’Riordan – a cui se ne aggiungono subito tantissime altre; voci femminili ipnotiche, ruvide e seducenti, irriverenti e contagiose, delle interpreti della musica rock/pop che in quel decennio ha dato spazio a personalità diversissime tra loro e assolutamente brillanti, che si lasciavano guardare senza nascondere niente, mostrandosi per quello che erano. Donne forti, fragili, e fiere delle proprie contraddizioni: penso alla grazia di Suzanne Vega – my name is Luka – e Tracy Chapman – you got a fast car – il blues di Sheryl Crow – ruuuuun baby, run! – il graffio di Anouk – nobody’s wiiiiiiife – il carattere di Joan Osborne – what if gooood was one of us? – la purezza di Sinead O’Connor – nothing comperes to yooou – e alle innovazioni portate della santissima trinità composta da Bjork, Tori Amos e Pj Harvey. È probabile che molte di noi si siano trovate a urlare I’m a Bitch! con Meredith Brook e isn’t that ironic? con Alanis Morisette, per non parlare dei karaoke fatti sulle canzoni di Whitney e Mariah. Ma oltre alle interpreti e alle cantautrici, abbiamo visto nascere diversi gruppi musicali con leader femminili, ragazze che si sono create uno spazio nel mondo del pop/rock, grazie alla propria originalità.
Il primo colpo di fulmine è stato proprio con lei, Dolores O’Riordan, voce indimenticabile dei The Cranberries – che ho conosciuto con No Need To Argue, l’album del 1994; un album che va riascoltato ancora, e ancora, e ancora – come questo pezzo, tra i meno conosciuti, ma che è uno dei miei preferiti.
C’è stato poi il piglio sensuale e morbido di Shirley Manson, cantante dei Garbage (band formatasi nel 1993) che cantava che era contenta “solo quando pioveva e quando le cose erano complicate“. Insomma, è ok non essere ok.
I’m only happy when it rains
I’m only happy when it’s complicated
And though I know you can’t appreciate it
I’m only happy when it rains
You know I love it when the news is bad
Why it feels so good to feel so sad?
I’m only happy when it rains
Potenza, rabbia e grazia. Un gruppo che colleziona video censurati, testi espliciti e uno stile che sfugge a ogni etichetta. La voce di Skin è stata una scoperta, le canzoni degli Skunk Anansie una rivelazione – e Post Orgasmic Chill, il loro album del 1999, rimane uno di quelli che ho ascoltato di più nell’adolescenza. Ma è con questa canzone del 1996 che li ho scoperti: il titolo è Hedonism e il ritornello lo conosciamo tutti – Just because you feel gooooooooooooooood/ Doesn’t make you right, oh no.
Di lei ho sempre amato le pettinature punk, le sopracciglia sottili e il suo modo di stare sul palco; un amico diceva che era “dannatamente teatrale“, nel modo di cantare e di esibirsi, e grazie a queste sue peculiarità, i No Doubt irrompono nelle nostre vite a metà degli anni ’90 con l’album Tragic Kingdom, in cui mixano diversi generi – ska, rock, pop – per dirci a gran voce che non siamo “soltanto delle ragazze” e per farci piangere tutte le nostre lacrime con il racconto del suo amore finito in “Don’t speak”.
Il suo nome non è forse conosciuto come quello della band (che si forma in Svezia nel 1993) ma il suo volto lo conosciamo benissimo, così come la sua voce cristallina e delicata, che si presta tanto a brani leggeri e pop come Lovefool (colonna sonora dell’indimenticabile Romeo+Giulietta) che a pezzi più rock come Erase/Rewind e My Favourite Game. È Nina Persson, la frontwoman dei Cardigans.
Difficile stabilire chi fosse effettivamente il leader del gruppo, ma di sicuro la presenza in primo piano di Lauryn Hill ha rappresentato una bella novità nel mondo dell’hip hop. La ragazza canta rap, ballate r’n’b e sviluppa un talento raro nello scrivere i testi, che sfocerà in uno degli album più belli di questa decade, il suo The Miseducation Of Lauryn Hill. Ma primi del successo da solista, esordisce come voce del trio The Fugees e che dire se non …viva il Fu-Gee-La!
Ma queste grandi frontwoman non sono sole: a loro si affiancano i grandi gruppi tutti al femminile dell’epoca, che hanno contribuito a sostenere e diffondere il sommo ideale del girl power – e penso alle 4 No Blondes (con la loro What’s Up) alle TLC, le Destiny’s Child, le All Saint e naturalmente loro:
Sono ragazze che conquistano le classifiche e cominciano a raccontare le loro storie, aprono al mondo le loro conversazioni, i loro punti di vista, con una presenza sul mercato discografico (in tantissimi generi diversi) mai vista prima. E un po’ mi sorprende che il primo pensiero sulla mia infanzia e adolescenza, sui fantomatici anni ’90, sia proprio rivolto alla musica di quel tempo e al suo straordinario potere di parlarmi, senza bisogno che afferrassi subito, razionalmente, i concetti che mi trasmetteva. Con quei motivi in testa ho costruito un pensiero, ho dato forma a un immaginario più chiaro di quanto pensassi; e ora ritorno dalla mia amica dicendole che istintivamente direi che crescere negli anni ’90 ha voluto dire ascoltare una musica che parlava di donne, delle libertà che potevamo prenderci, degli spazi che stavamo occupando o volevamo occupare; erano canzoni esplicite, che mettevano in discussione il mondo, che proponevano nuove visioni e mi interrogavano sul presente. Canzoni che hanno saputo aprire un dialogo, lo stesso che stiamo portando avanti ancora oggi.
Source: freedamedia.it
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