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Gli Usa mettono gli scarponi sul terreno: marines verso Raqqa

Gli Usa decidono di lanciare in azione le loro truppe sul terreno desertico del Medioriente. Su Raqqa, ultima capitale del sedicente Stato Islamico, convergono in queste ore i marines di Donald Trump.

La Cnn precisa: sono un migliaio di uomini dotati anche di artiglieria. Finora la massima presenza era limitata a 500 effettivi, impegnati nelle retrovie in missioni di addestramento. Il salto di qualità è evidente.

Guerra ai finanziamenti

Sulla città si susseguono i raid. Secondo alcune organizzazioni non governative, giovedì le incursioni dei governativi e dei loro alleati hanno provocato la morte di 23 civili. Il fronte però non è limitato alla zona delle operazioni: a Beirut i servizi di sicurezza, entrati in azione nella tarda notte, hanno smantellato quella che pare sia stata una rete di finanziamenti destinati ai terroristi islamici.

La difficoltà di tenere insieme fazioni rivali tra loro

Il conflitto pare entrare nella sua fase finale, e per gli Stati Uniti si inizia a profilare il problema di domani: rassicurare la Turchia e tenere unite fazioni finora saldate tra loro solo dal collante dell’odio per i miliziani jihadisti dello Stato Islamico. Il rischio è quello di rimanere impantanati ancora a lungo nella guerra in Siria. Dietro la priorità accordata alla sconfitta militare di Daesh stanno infatti emergono ora criticità e contraddizioni nella gestione delle singole parti del composito schieramento sostenuto dagli Usa, e la gestione politica del domani si fa complessa.

Già nei giorni scorsi, l’amministrazione Trump ha dovuto inviare truppe speciali nella città di Manbij, per proteggere gli alleati curdi e arabi, raccolti sotto l’ombrello delle Ypg, dall’attacco di altre organizazioni alleate degli Stati Uniti, e sostenute dalla Turchia. Si tratta di una vera e propria escalation: sebbene nelle scorse settimane gli Usa avessero già mediato tra fazioni rivali curde nell’area di Snune, in Iraq, l’intervento a Manbij è il primo in cui le truppe speciali vengono coinvolte direttamente sul campo nella pacificazione tra fazioni rivali.

La strategia del ‘rassicura e scoraggia’

E’ la strategia che il Pentagono definisce “reassure and deter”: rassicura e scoraggia (le fazioni rivali dall’attaccarsi l’una l’altra). Secondo Robert Ford, fino al 2014 ambasciatore statunitense in Siria, l’invio di truppe in Siria con l’obiettivo di dividere fazioni rivali e mantenere il cessate il fuoco costituisce un grande cambiamento nella strategia americana, sebbene ad ora non sembra ci sia l’intenzione di stravolgere l’approccio dell’amministrazione Obama, basato sul sostegno prioritario ai curdi per combattere l’Isis.

La liberazione di Manbij dall’Isis, avvenuta lo scorso agosto, è in un certo senso paradigmatica: da una parte, essa ha determinato l’interruzione del collegamento tra Raqqa e il confine turco, permettendo così l’inizio dell’offensiva curda per isolare Raqqa dai villaggi circostanti; dall’altra Manbij si trova adesso sotto il controllo delle Ypg, in contrasto con le rassicurazioni fatte alla Turchia, alla quale era stato garantito che i curdi avrebbero lasciato la città una volta liberata.

La preoccupazione della Turchia per l’avanzata dei curdi iracheni

Ankara è preoccupata per i legami tra Ypg e Pkk, visto che Manbij è in una posizione strategica per gli stessi curdi, funzionale alla possibilità di “saldare” il territorio controllato in vista di un eventuale Stato curdo nell’area. Anche per questo, i turchi hanno mandato a Manbij le proprie truppe, sostenute da fazioni arabe, per combattere i curdi. Un video postato sui social media mercoledì mostra alcune fazioni arabe sostenute dagli Stati Uniti e alleate dei curdi mentre abbattono un veicolo militare di fazioni arabe sostenute dalla Turchia con un missile anti carro fornito dagli americani.

Il caos siriano e le conseguenze di una guerra multilaterale

C’è poi un problema legato al futuro, e alla liberazione di Raqqa: esistono forti dubbi sull’opportunità di far prendere la città siriana – quasi totalmente araba – dai curdi. Per questo motivo, e per “ammansire” la Turchia, sono state create le Syrian Democratic Forces (Sdf), nelle quali sono presenti molti arabi addestrati dalle Forze speciali americane. Le Sdf – fedeli alle Ypg – sono anche la forza che ha negoziato recentemente un accordo coi russi per far stazionare sul fronte di Manbij le truppe del regime siriano, col rischio connesso che l’area possa tornare sotto il controllo di Damasco.
“Questa guerra è un caos”, sintetizza con preoccupazione l’analista Aaron Stein dell’Atlantic Council, intervistato dal Washington Post. “Se andiamo in Siria e combattiamo lo Stato islamico, contribuiremo alla creazione di cumuli di macerie. Ci siamo intromessi in una guerra multilaterale”.

Source: agi.it/estero

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