La vita adulta si divide in due grandi categorie: chi ogni giorno pranza fuori e chi tenacemente sceglie di scoperchiare la sua schiscetta, ovvero un pasto preparato a casa. Schiscetta arriva dal verbo milanese schisciare, cioè schiacciare e indica proprio il gesto di pressione che pratichiamo sui nostri favolosi contenitori di plastica.
Secondo i dati della Coldiretti/Ixè la schiscetta è praticata dal 40% degli italiani: l’11% degli italiani la fa regolarmente, il 12% farlo spesso mentre il 17% dichiara di farlo ogni tanto. Questo ritorno al pranzo al sacco nasce da diverse esigenze: innanzitutto pochi di noi hanno la fortuna di lavorare vicino a casa, quindi l’idea di tornare a casa a mangiare (e magari infilarci dentro la visione di una puntata dei Simpson) è da scartare, senza contare il tempo ridotto della pausa pranzo e ovviamente il costo delle pietanze nei vari bar/ristoranti. Diventare adulti è anche questo: scuotere la testa davanti a un piatto di pasta venduto a 6€, pensare “Vado a vivere in campagna, mi nutrirò solo dei frutti della mia terra” per poi arrivare a un’epifania più concreta “Con questa cifra mi posso comprare due pacchi da 1kg di pasta”. La scelta della schiscetta fai da te è da collegare anche alla crescente attenzione che prestiamo al cibo: siamo sempre più attenti a cosa introduciamo nel nostro corpo e sempre meno invogliati a mangiare panini imbottiti di salumi ogni giorno. Oddio, non è che siamo meno invogliati, è che è chiaro a tutti che non ci fanno bene.
Se fate vita da ufficio lo sapete: la schiscetta è un topos che da sempre scalda gli animi e fa uscire il peggio delle persone, perché per ogni collega che porta la pasta al pomodoro ce ne sono altri due che amano la cucina sperimentale. E per cucina sperimentale intendo che non hanno paura – ma che dico – non si vergognano di scaldare nell’unico microonde dell’ufficio piatti come il baccalà o fagioli e cipolle.
Per quanto mi riguarda credo che la schiscetta sia come il sesso: gli esperimenti vanno fatti in privato.
Il primo anno che ho iniziato a lavorare ho imparato a scontrarmi non solo con il gusto culinario delle persone, ma anche con il rapporto che queste avevano con il cibo. Se da un lato c’ero io che mi sfondavo di cetrioli (chiaramente sbagliavo) dall’altro c’era la collega magra che ogni giorno mangiava mozzarella di bufala e prosciutto crudo per stare leggera. Guardare il piatto di un collega vale più di mille test della personalità a cui sottoporlo: c’è chi mangia pasta ogni giorno, chi mangia gallette davanti al pc, chi vive ancora con i genitori e scoperchia manicaretti di ogni tipo, chi ha la moglie cuoca in fissa con l’indiano, chi dimostra la propria singletudine con scatola di tonno nella mano destra e scatola di mais in quella sinistra.
Proprio in quei primi anni di lavoro ero talmente felice di avere uno stipendio (e zero spese da sostenere) che mi lanciavo nella preparazione di schiscette così lussuose che mi venivano a costare più di un menù pranzo al ristorante. Queste schiscette mi vedevano impegnata – insieme ad altri due fedelissimi colleghi – in 20 minuti di sosta in cucina: eravamo in grado di preparare tre insalate del costo medio di 12€ l’una con tanto di giudizio sull’impiattamento. È chiaro che esiste un solo colpevole in questa storia. Masterchef.
Negli anni, aumentate le responsabilità e le spese, ho iniziato a fare i conti con la realtà, ovvero far coesistere la preparazione di pietanze che mi facessero bene e che non costassero troppo. Perché diciamocelo, se sei una persona con un metabolismo veloce ti puoi permettere cinque pranzi settimanali a base di gustosissima ed economica pasta, e se ti capita allora sei l’italiano più felice al mondo. Se invece le tue abitudini alimentari prevedono un diagramma a torta con tanto di istruzioni sull’uso (o meno) del sale, ecco che tutto diventa più difficile. Ciao, mi chiamo Elena, ho 28 anni e sono addicted dalle fette di pollo.
Le mie schiscette solitamente si dividono tra verdure e fette di pollo. Pollo al limone, pollo a dadini, pollo al curry… La mia è una fissazione al pari di quella di Bubba per i gamberi.
Gli esperti scrivono che una schiscetta perfetta non deve solo contenere gli alimenti giusti in grado di saziarci, ma anche di renderci felici attraverso il suo aspetto invitante, il suo profumo e i suoi colori. Questo può mettere a dura prova la nostra pazienza serale, quando sai che devi creare un piatto gourmet con quello che hai in frigo, ovvero un gambo di sedano, tre chili di cavolo viola – perché una volta hai letto che fa bene – e uno yogurt. Non c’è dubbio, il segreto delle schiscetta perfetta è la spesa settimanale, un calcolo della durata delle verdure, un excel in cui inserire l’abbinamento tra verdure e proteine e – perché no – una laurea in trigonometria. Un’altra scuola di pensiero pare abbia trovato la soluzione in un misterioso oggetto chiamano vaporiera.
Ma parlare di schiscetta significa anche parlare di stile personale, perché la schiscia è anche un oggetto, un bruttissimo oggetto. Come sempre sta a noi trasformare un tristissimo tupperware di plastica in carismatici oggetti di design. Via libera alle scatole vintage, ai lunch box per bambini con tanto di stampe pop, oppure di foulard Hermes utilizzati come porta schisce.
Altrimenti potete fare come me, mettere il vostro pranzo nel sacchetto più bello e chic che avete in casa. Perché lo faccio? La mia teoria è la seguente: se le persone in metropolitana sono occupate a contemplare la bellezza del sacchetto forse il loro naso non si accorgerà che oggi – ahimè – è il giorno delle sgombro al naturale con insalata.
Source: freedamedia.it