Gerarchie

Ordine e disordine si intrecciano in ricami irripetibili sulla mia scrivania. Ci sono così tanti lati di me che vi riverso distrattamente, come svuotando una vecchia borsa, che preferisco lasciar loro facoltà di auto-determinazione e gerarchizzazione. Capita che il riflesso dei miei turbamenti appaia limpido e spaventosamente candido fra abbozzate poesie che non rileggo mai, appostate come cani da guardia fra i miei timidi incastri di arredamento. 

Non sempre un disordine controllato porta ad un ordine anche solo soggettivo. Non sempre un ordine controllato scongiura un disordine invisibile.

È importante osservare i frammenti di ciò che si era, sparsi come cocci pallidi, e trovare il coraggio di liberarsene, rinunciando all’ennesimo tentativo di ricomporli. 

Mi trovo tanto nella mia mente quanto su questa scrivania, mi fermo ad osservare la quiete. I cani da guardia si sono addormentati incuranti del mio silenzio cleptomane. Una penna giace dissanguata e balbettante accanto a me. La quiete mi osserva, e c’è ordine. 

Basta poco a rompere il silenzio, che è ordine e disordine in base al rapporto con l’osservatore. Basterebbe un gatto alla finestra con sguardo da funambolo, basterei io. 

É vero, infatti, che l’uomo si compiace del proprio tormento e si crogiola placido fra dolori inesistenti, fino all’ultimo istante fingerebbe una battaglia. 

Allo stesso modo il disordine attrae come un astro ancora inesplorato e rapiti dal suo campo gravitazionale tutti noi ci riveliamo capaci di abbandonare un mondo che è già nostro di diritto. 

Come spiegare, altrimenti, il male che ci sforziamo di vedere in un passante, come noi di fretta, come noi incatenato ad un ordine fittizio che morde all’altezza della caviglia. 

L’ordine non ha sembianze agognate, non ha mai il medesimo aspetto e ricalca sprovveduto le nostre paure, i passi falsi, delle inquietudini fa un elegante aspirazione ben presentata. 

Il disordine affonda gli artigli nei preconcetti, lascia impronte di piedi sottili sull’alveo di un flusso di coscienza senza foce. Ma non è mai un male. Ripetermi che prima o poi rileggerò quelle poesie, che verrà un giorno in cui la penna smetterà di sanguinare imprevidente sul foglio bianco, mi illude dell’esistenza di un ordine che, per quanto ridotto ad un’ombra, è reale. Ciò che è idea o astrazione appartiene al mondo dell’invisibile e non per questo al mondo dell’inesistente. 

Il disordine è senza dubbio frutto della prerogativa della ragione, della quale tanto ci rallegriamo e in considerazione della quale ci riteniamo padroni e sovrani del resto delle creature, ma che è forse stata messa in noi per il nostro cruccio. 

L’ordine è nella natura stessa ed è però reperibile prevalentemente al di fuori di noi. Alcune specie di pesci nuotano in banchi di forma perfettamente quadrata avvalendosi della geometria più primordiale e dimostrando come l’assetto regolare a cui aspiriamo è la prerogativa prima di ogni essere vivente eccetto l’uomo. 

La nostra predisposizione alla ricerca dell’ordine è quindi probabilmente dettata da una mancanza ancestrale di quest’ultimo, una privazione beffarda che la natura ci ha rifilato in cambio della razionalità illudendoci che fosse un baratto vantaggioso, alla maniera di un mercante mendace. 

Anche il più umile degli animali da cortile potrebbe raggiungere e superare con disinvoltura il distacco, si potrebbe dire filosofico, del più grande dei saggi del passato. E questo perchè nella ragione sta il disordine, sta l’indecisione in cui è facilissimo annegare, sta l’impazienza tipica dell’intellezione. 

È inutile cercare di trovare un senso a ciò che parla al lato sanguigno e molecolare di noi, conviene accettare l’imprescindibile e dare un’impostazione arbitraria ai conflitti e agli intendimenti che nascono in superficie, dove lo sconveniente baratto con la natura ci ha dotato della scomoda esercitazione della coscienza. 

Gli astri, i mondi paralleli che si guardano senza esserne a conoscenza come in un acquario abbandonato, i monti, le strade, i vicoli, i semafori, i testi sgrammaticati sui muri e le più piccole particelle condividono l’inesperienza del tormento e si avvalgono dell’ordine per comunicarci, e ammonirci, dell’esistenza del disordine. È quindi un monito a cui abbandonarsi, in cui galleggiare deponendo il timore dell’ignoto, perchè è nel coraggio di esistere senza sistematicità che consiste il vero intervento dell’ordine naturale sul più travagliato dei suoi figli. 

Sofia  Agostini


 

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