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Francesco Molinari annata Straordinaria e trionfale

Straordinaria e trionfale. Di più. Irreale e indimenticabile. Di più ancora. Finendo l’anno al primo posto nella classifica dell’European Tour, anche come premi ufficiali – inutile dirlo: primo di sempre per un azzurro – la stagione golfistica di Francesco Molinari diventa leggendaria. Supera addirittura non solo la storia nazionale della sua disciplina ma sconfina alla grande in quella dello sport “de noartri”, firmando il più grande risultato individuale di sempre dello sport italiano, sorpassando, così, il fenomenale “triplete” Roma-Parigi-Coppa Davis del tennis di Adriano Panatta nel 1976. Una stagione così importante da lasciare un segno indelebile anche nel mondo, nelle gare più ambite.

Francesco Molinari (AFP)
Le riepiloghiamo. A maggio, il torinese, che ha compiuto 37 anni l’8 novembre e risiede da anni a Londra, si è aggiudicato il quinto titolo del circuito continentale, il quotato BMW Pga Championship, su un campo famoso come Wentworth, sprintando nell’ultimo giro sul talento europeo più puro, l’irlandese Rory McIlroy, battendolo di due colpi ed eguagliando il suo idolo, Costantino Rocca, nei titoli di un italiano sull’European Tour.

E poi ha mancato di un solo colpo la tripletta all’Open d’Italia, lasciando spazio a Olesen, ma sfoderando tutti i grandi progressi tecnici e la sicurezza nella gestione di gara. A giugno, ha scritto il primo nome italiano dal 1947 nei tornei del circuito più importante, il PGA negli Stati Uniti, conquistando il Quicken Loans National, esaltandosi ancora nel finale coi 62 colpi di domenica (259 finale, -21!), staccando di ben otto il secondo, Ryan Armour, e ottenendo il trofeo dalle mani del suo idolo Tiger Woods. Secondo nella storia del golf italiano, anche se in realtà il predecessore, Toney Penna, era italiano a metà: nato a Napoli, era cresciuto ad Harrison, diventando poi naturalizzato americano.

Francesco Molinari (AFP)

Il 22 luglio, primo italiano in assoluto nella storia dei Majors, Molinari ha vinto l’Open Championship sui links di Carnoustie, in Scozia, uno dei templi del golf. Con un giro finale senza bogey, in 69, ha resistito al testa a testa nelle ultime 18 in coppia con Tiger Woods, staccando di due colpi Kisner, McIlroy, Rose e Schauffele e raggiungendo la classifica-record di 6 del mondo. A settembre, si è qualificato di diritto nella nazionale europea per la Ryder Cup alle porte di Parigi che ha dominato gli Stati Uniti dei fenomeni – piena zeppa di campioni che però non hanno fatto squadra – per 17,5 a 10,5, diventando il primo di sempre a chiudere con una pagella immacolata 5-0-0, cioè cinque vittorie, zero pareggi e zero sconfitte.

Facendo coppia con l’amico Tommy Fleetwood nei vittoriosi quattro match di fourball e foursome (altro record), per poi imporsi nel singolo contro un mito come Phil Mickelson. Garantendosi il ruolo di protagonista assoluto fra i protagonisti assoluti del golf mondiale.

Proprio Fleetwood, campione uscente del campionato dei professionisti del vecchio continente, era il suo unico rivale per il primato nella Race to Dubai al DP World Tour Championship, ottavo evento delle Rolex Series, al Jumeirah Golf Estates, con otto milioni di dollari di montepremi e i primi 60 in classifica in gara. Gli bastava gestire il vantaggio enorme dall’alto dei 4.709.921 punti, con l’inglese a quota 3.684.755 punti, costretto a vincere il torneo e sperare che l’italiano finisse oltre il quinto posto. Una circostanza improbabile, come s’è capito già dopo i primi due giri.

Francesco Molinari (AFP)
La forza di Molinari, un campione senza doti tecniche e fisiche straordinarie, che s’è costruito pezzo dopo pezzo, partendo da solide basi di attitudine al lavoro, intelligenza e freddezza, è sempre stata l’umiltà, la capacità di crescere pian pianino, senza strappi, mettendo comunque una serie impressionanti di pietre miliari nel golf nazionale. Tecnicamente, accreditato di buone mani e di una grande capacità nella scelta dei ferri e quindi nei colpo d’approccio, era sempre stato stato timido e falloso sul putt, ma ha colmato tutti i punti deboli, aggregando al team gli specialisti migliori e lavorando tantissimo, anche sotto il profilo mentale, col decisivo apporto di Dave Alred. Nel maggio del 2006, cogliendo il primo titolo European Tour, aveva aggiunto finalmente il nome di un giocatore di casa nell’Open d’Italia, che mancava addirittura da Massimo Mannelli nel 1980. Nel novembre 2009, insieme al fratello maggiore, Edoardo, aveva firmato la World cup a Mission Hills in Cina.

Nel 2010, aveva conquistato il WGC-HSBC Championships a Shanghai, superando di un colpo Lee Westwood, con -19 finale, col premio del numero 14 del mondo, anche grazie agli undici “top ten”, inclusi due secondi posti, con la quinta posizione di fine stagione nella Race to Dubai. Dopo aver conquistato l’attenzione del mondo alla Ryder Cup col fratello nella trionfale edizione di Celtic Manor vinta di un socio dall’Europa 14,5 a 13,5 con tutto il pubblico che intonava i due ragazzi italiani.

Capaci di portare appena mezzo punti, con un pareggio, ma comunque personaggi, umani, spontanei, capaci di cementare il gruppo. Nel 2012 Francesco si qualificò di diritto alla Ryder perdendo due match ma pareggiando il singolo con Tiger e contribuendo alla rimonta del vecchio continente nell’ultima giornata da 10-6 sotto. Nel 2015 e nel 2016, ha gareggiato sia sull’European Tour che sul Pga, e quindi due anni fa è diventato il primo italiano ad aggiudicarsi per la seconda volta l’Open di casa, battendo di un colpo Danny Willett, facendo importanti passi in avanti col secondo posto all’Open de Espana e all’Open de France, in Europa, e col terzo nel Memorial Tournament, negli Usa. E consolidando la sua presenza fra i protagonisti.

Francesco Molinari (AFP)
Serio, serissimo, sempre pacato e lucido, l’anno scorso, Molinari ha consolidato le sue certezze da campione per prepararsi al salto nell’olimpo del golf di questa stagione, straordinaria, trionfale, irreale, indimenticabile, leggendaria, oltre la storia. Condita da una cifra mostruosa: 4,709,921 dollari di stagione, più 1,5 milioni di premio da n. 1 finale della Race to Dubai 2018, più gli spiccioli dell’ultima gara del weekend, per superare i 35 milioni di dollari di soli premi ufficiali che ha intascato in carriera. Perché i soldi, per un professionista in generale e quindi nello sport più professionistico che ci sia, sono il simbolo del successo. Chissà se ora il campione che per anni è stato etichettato col nomignolo col quale era stato targato da bambino, ”Chicco”, farà crescere ed esplodere anche il movimento nazionale, abbattendo le barriere elitarie e trasformandolo finalmente in uno sport popolare, come fece Adriano Panatta col tennis, e con tutto il rispetto per il grandissimo Alberto Tomba, ugualmente pioniere dello sci, e protagonista di due ori olimpici in slalom a Calgary 1988: ma lo sci non è uno sport mondiale praticato come tennis e golf, con meno nazioni e meno protagonisti implicati a livello più alto.

Source: www.agi.it

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