Food delivery, la nuova faccia della gig economy

Innovazione, croce e delizia dell’Italia. Dopo le proteste dei tassisti che si sono scagliati contro Uber, l’app per il servizio di trasporto automobilistico privato, il ministro dei trasporti Graziano Delrio ha puntato il dito contro i servizi che consegnano i pasti a domicilio.
Nella sua intervista al Corriere della Sera, Delrio – dopo aver vestito i panni del mediatore nella vicenda taxi – da un lato si è detto “aperto” nei confronti dell’innovazione “che in molti campi sta migliorando le nostre vite”, ma dall’altro ha sottolineato che la tecnologia non è “un bene a prescindere. Dipende da cosa fa, da come lo fa, dalle conseguenze”. E l’esempio che riporta è: “i fattorini in bici che portano le cene a casa per tre euro l’ora, per dire: sono innovazione o sfruttamento? Nuovo non significa per forza meglio”.

Uber e food delivery, due facce della gig economy

In condizioni economiche e sociali difficili, si è sviluppata nel corso del tempo la cosiddetta gig economy. In Italia una volta si si chiamava “lavoretto”, ora è l’economia on-demand. In sintesi è un incarico occasionale, e comunque temporaneo, basato sulla flessibilità.
Il lavoratore, il rider come l’autista, viene attivato tramite una app. Il cliente ordina una pizza o vuole essere accompagnato in aeroporto e il servizio parte.

Ma chi sono questi fattorini 2.0?

I bike messenger li vediamo girare da qualche anno per le città muniti di caschetto e divisa e trasportano i pasti in un contenitore termico assicurato sul retro della loro bicicletta o scooter. Questi ‘fattorini 2.0’ vengono attivati tramite l’app che segnala loro tempi e luoghi di ritiro e consegna del cibo.

I lavoratori ‘on-demand’ quali tutele hanno?

Come riporta lo studio dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro) “quasi tutti i lavoratori nell’economia on-demand sono considerati come lavoratori autonomi” e con questa qualifica “le piattaforme non sono tenute a versare contributi previdenziali e assistenziali”. Lo studio sostiene che “le attuali norme del diritto del lavoro non sono necessariamente inadatte a regolare le prestazioni nella ‘gig-economy'” ma l’agenzia propone “l’estensione in chiave universale dei principi e diritti fondamentali del lavoro, indipendentemente dal tipo di contratto lavorativo e un maggior riconoscimento del ruolo delle parti sociali”.

Di lavoro autonomo se ne discuterà alla Camera

Un emendamento per equiparare i ‘lavoretti’ pagati con i voucher ai rapporti di lavoro dipendente subordinato è quanto prevede un emendamento di Sinistra Italiana al disegno di legge sul lavoro autonomo che sarà in aula alla Camera il 27 febbraio. Una proposta per allargare i diritti anche a quei lavoratori che prestano servizio nelle aziende per la consegna a domicilio.

Le posizioni dei food delivery

Con Deliveroo, la startup britannica con il logo del canguro, collaborano più di 700 rider – la maggior parte under 30- che vengono pagati tra i 7 e gli 8 euro lordi l’ora (la variazione dipende dalla città in cui si lavora). Chi usa la bicicletta riceve 1-1,5 euro in più a consegna, mentre chi lavora con lo scooter ha un rimborso per la benzina.
“Siamo impegnati- dice all’Agi Matteo Sarzana, general manager Italia di Deliveroo
– a pagare bene i rider e questa è la ragione per cui sempre più persone vogliono lavorare con noi. Siamo disponibili ad aprire un tavolo con il governo italiano per condividere il nostro know-how e definire insieme il cammino da seguire”.
Foodora opera in 4 città (Milano, Torino, Roma e Firenze) attraverso la collaborazione di circa 900 rider, tutti – sottolinea la società – regolarmente contrattualizzati, che hanno in media 23/24 anni. “Sono loro a decidere quando dare la disponibilità, proprio in modo da integrare questo lavoro con loro occupazione primaria, solitamente lo studio. E per questo sono loro stessi a richiedere una buona flessibilità, per esempio durante le sessioni di esami. I rider possano decidere in totale autonomia se e quando lavorare, indicando la loro disponibilità nelle diverse fasce orarie, e hanno anche la facoltà di non presentarsi per effettuare la consegna, anche all’ultimo momento e senza obblighi ulteriori”, spiega all’Agi Foodora.
La società fa sapere che  “ha scelto di stipulare con i propri rider regolari contratti di collaborazione, piuttosto che pagare con ritenuta d’acconto o partita iva, ciò vuol dire che Foodora paga regolarmente i contributi Inps e Inail previsti dal contratto, oltre ad offrire un’assicurazione integrativa per i danni a terzi e l’accesso alle convenzioni con le ciclofficine per la manutenzione del mezzo.
Il compenso offerto ai rider di Foodora è di 4 euro a consegna. Mediamente vengono effettuate due consegne l’ora, quindi un rider di Foodora riceve un compenso medio di 8 euro lordi/ora (7,20€ netti).
Just Eat ha un modello di business differente rispetto alle altre realtà del comparto perché agisce da intermediario tra ristoranti e consumatori. La consegna è affidata direttamente ai locali affiliati che hanno già un servizio proprietario di consegna a domicilio e che gestiscono la flotta dei propri rider in totale autonomia sotto ogni aspetto. Le tariffe orarie dei partner di Just Eat variano tra gli 8 e gli 11 euro, prevedono un bonus per il lavoro nei giorni festivi e in presenza di maltempo e agevolazioni economiche sulla manutenzione delle biciclette/scooter. In alcune città italiane è attivo poi il servizio JUST EAT Delivery, che consente ai ristoranti che non hanno un servizio di consegne proprietario di affidarsi a JUST EAT anche per il trasporto.
“E’ necessario – fa sapere la società – andare di pari passo con l’innovazione, come quella che ad esempio rappresenta il digital food delivery, e stabilire le soluzioni migliori in linea con le regolamentazioni e i vincoli sindacali di ogni paese al fine di assicurare una collaborazione produttiva e sostenibile per tutti”.

Source: agi.it/innovazione

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