“Ce sei mai stato in mezzo al traffico de Roma? Ce l’hai presente, lo sai come funziona?” cantano le Radici nel Cemento. Vi sarà capitato di sentire un cittadino dell’Urbe lamentarsi del traffico: è il grande leitmotiv di tutte le lagne sulla Capitale. Ognuno tira fuori la sua originale spiegazione del fenomeno, ma tutti concludono che “a gente nun sa guidà”: si sentono tutti autisti provetti. Io vivo a Roma da quasi dieci anni, e ho visto cose che nemmeno Rutger Hauer potrebbe mai immaginare. Er traffico de Roma incattivisce, un paio di mesi e ti ritrovi a guidare come se avessi le bombe a mano nel cruscotto. Ricordo che, appena presa la patente, come terapia d’urto mio padre mi fece fare un giro sulla tangenziale est. Sosteneva che dovevo abituarmi alla differenza tra la provincia rallentata, dove avevo imparato, e la metropoli convulsa, dove sarei dovuta sopravvivere, sviluppando lo stile di guida spavaldo e aggressivo popolare tra i romani. Mi sono ritrovata a viaggiare a 80 all’ora sulla corsia di sorpasso della sopraelevata, gridando terrorizzata e lottando per restare in carreggiata, mentre una coda di auto dietro di me suonava a tutto spiano perché, pur superando il limite di velocità, “andavo troppo lenta”. Il colmo è stato quando un vecchietto, a cavallo di una motocicletta dell’anteguerra, mi ha sorpassato a destra gridando “SCIAO CORE!”. Quella è stata la prima di una sequela di comiche umiliazioni. Perché il traffico di Roma è spietato e patriarcale, Suburra-style, come dice Piotta “te divora come ‘n barracuda”: e se hai pure l’aggravante di essere donna, meglio che ti prepari a essere insultata per il solo fatto di avere la patente.
Certo, di viabilità complicate e caotiche ce ne sono, in Italia e nel mondo: Roma è solo uno dei casi limite. Il problema vero è il modello di guida che il traffico di queste città incarna, quello dominante, che lo stereotipo definisce “maschile” ma che moltissime donne adottano. Dopo anni di disavventure, posso affermare in coscienza che una guida aggressiva, sfrontata e stressata è sempre e comunque pericolosa, e va contrastata. Al di là della classica tesi statistica, secondo cui le donne fanno meno incidenti degli uomini e quindi sono migliori al volante; al di là degli stereotipi patriarcali incastonati nella modalità dominante, che vedono gli uomini più bravi a guidare “per natura”; insomma, al di là dei cliché, al volante si dovrebbe sempre preferire un atteggiamento poco emotivo e molto prudente.
Nella mia famiglia, come in quasi tutte le famiglie italiane, dare lezioni di guida è sempre stato un compito del pater familias. Mio nonno materno ha istruito ben due generazioni. Io per fortuna sono scampata al suo severissimo training, i miei hanno voluto che iniziassi con un insegnante dell’autoscuola, onde evitare che prendessi vizi. Nonostante ciò, qualche vizio l’ho preso lo stesso: quando ho iniziato a girare col foglio rosa, mi sono plasmata a immagine e somiglianza di mio padre, che mi accompagnava e consigliava. Volevo guidare come lui, ero convinta fosse meglio di quella lentona di mia madre, il cui aplomb serafico e bradipesco cozzava con l’approccio che in strada viene considerato vincente: ansioso, rabbioso, pressante, ostentatamente sicuro. Sono questi, per mia esperienza, gli attributi di quella che chiamerò impropriamente “guida sportiva” – un modo di guidare bellicoso e fanatico, ispirato ai principi delle gare automobilistiche, tradizionalmente portato avanti da piloti uomini ma diffuso anche tra le donne.
L’autista “sportivo” parte dal presupposto di essere l’unico a saper condurre una macchina: si sente il migliore, gli altri sono solo pericoli ambulanti oppure ostacoli da superare. Se va di fretta, si arroga il diritto di azzerare le distanze di sicurezza e tallonarti lampeggiando con i fanali finché non ti togli di mezzo; può parcheggiare in seconda, terza, quarta fila, o peggio sul marciapiede; può uscire dalle soste o svoltare senza usare frecce; si attacca al clacson se non parti in quarta non appena scatta il verde; è convinto di avere sempre priorità assoluta, come l’ambulanza – che spesso segue, per scavalcare tutti e uscire dal traffico. È campione di road rage, ossia di esplosioni di rabbia al volante. Per l’autista sportivo i semafori sono decorazioni urbane, la corsia di emergenza una preferenziale, i pedoni oggetti in movimento da schivare, i ciclisti prede da inseguire. Di questi soggetti le nostre strade sono piene: in genere si tratta di uomini dotati di macchine gigantesche come jeep o suv, ma non lasciamoci incantare dagli stereotipi, perché di esemplari così se ne trovano tantissimi e tutti diversi. Personalmente, mi è capitato più volte di cedere per paura il parcheggio a donne con la bava alla bocca, sopraggiunte a bordo di city car o utilitarie sgangherate e pronte a passare alle mani.
Io stessa ammetto di essermi colta più volte nell’azione di verificare chi fosse alla guida di un’auto che mi era d’intralcio, chiedendomi rabbiosamente “chi sarà mai, un vecchio o una donna?”: una domanda retorica pregiudiziale del tutto indotta che è, per me, un campanello d’allarme gravissimo. Anche alle donne capita di avere pensieri discriminatori nei confronti di altre donne al volante: a forza di sentirci ripetere che non siamo capaci e poi lusingare quando facciamo le coatte alla guida, ci siamo convinte che è vero, che gli uomini sono piloti migliori, che bisogna imitarli per guidare bene, che lo stile al volante ha sul serio a che fare col genere.
Un altro sintomo della “guida sportiva” è il bisogno incontrollabile di inveire contro gli altri automobilisti – abitudine tipica dei romani. Gente, Hot-Water-Discover dell’ultimo minuto: è inutile che urliate, l’abitacolo è insonorizzato, non possono sentirvi! Ma la conduzione emotiva non è un’abitudine facile da mollare, soprattutto perché chi la tiene ne è fiero. Infatti, quando scendono dalla macchina, gli autisti “sportivi” non abbandonano mica la loro prepotente presunzione: sono quegli stessi pedoni che attraversano di spalle, senza guardare, in punti ciechi, ignorando le strisce, e poi ti aggrediscono se inchiodi oppure non li fai passare – la strada è loro dominio, non importa da che parte stiano.
Personalmente, ho deciso da tempo di dismettere questo atteggiamento, in favore di uno stile di guida meno eccessivo e sconsiderato, e più rispettoso delle regole. Andare lenti e ragionare con calma sul da farsi, rispettare i limiti, anche consentendoci di essere indecisi, è comunque meno pericoloso che aggirarsi con fare predatorio, aggrappati alla sciocca convinzione di avere sempre tutto sotto controllo. No, amici e amiche, non potrete mai essere certi al 100% della vostra infallibilità in macchina: chi sostiene il contrario è il vero pericolo ambulante. In macchina bisogna essere attenti, non convinti.
Questo moltissime donne lo sanno già: la nostra prudenza alla guida è così rinomata, e viene utilizzata così spesso per rispondere al motto maschilista “donna al volante, pericolo costante”, che ha finito per perdere la sua efficacia retorica e trasformarsi in un luogo comune. C’è chi suggerisce di vendicarsi della discriminazione gioendo silenziosamente di polizze più basse: come riporta anche CBS News, gli uomini nella loro vita pagano assicurazioni in media molto più alte delle donne. Ma le analisi statistiche delineano un fenomeno decisamente più complesso, variabile e contraddittorio di una frase fatta. Quest’anno l’ANSA ha riconfermato la suddetta tendenza, in riferimento ai dati ISTAT sul 2016 e a quelli del Centro Studi Continental Italia: solo un quarto degli incidenti stradali, ossia il 26,6%, è causato da donne. Tuttavia, dal 1981 al 2016 il coinvolgimento delle donne nei sinistri come attori passivi della circolazione stradale è aumentato del 36%. I dati ISTAT sul 2017 invece non producono un raffronto tra tendenze maschili e femminili, se non quando, in riferimento alla diminuzione del tasso di incidenti, riportano che il numero di feriti gravi è comunque stabile e conta molti più uomini che donne. In questi anni altri studi hanno riscontrato aspetti diversi, spesso contraddittori. Nel 2011 il quotidiano britannico DailyMail riferiva che le donne sono piloti peggiori degli uomini: secondo una ricerca fatta su 6,5 milioni di incidenti automobilistici negli Stati Uniti avvenuti tra il 1998 e il 2007, le donne passano molto meno tempo alla guida degli uomini – in media, guidano il 40% delle volte – ma sono coinvolte in molti più incidenti, soprattutto in scontri presso incroci. Invece l’Insurance Institute for Highway Safety, una non-profit creata dalle compagnie assicurative americane per diminuire il tasso di incidentalità, analizzando i dati del U.S. Department of Transportation’s Fatality Analysis Reporting System sul 2015, ha riscontrato che il 71% degli incidenti mortali si devono agli errori degli uomini, che tendono maggiormente a pratiche rischiose – come guidare senza cintura o in stato di ebbrezza -; e analizzando i dati sul 2016, ha confermato che gli uomini sono più frequentemente protagonisti di sinistri per eccesso di velocità, mentre le donne ne sono troppo spesso vittime.
Insomma, è vero che le donne hanno meno incidenti perché sono più prudenti e hanno più raramente comportamenti scorretti, ma anche perché guidano meno. È vero che gli uomini sono più spericolati e commettono più infrazioni, ma guidano anche di più, sono protagonisti attivi della viabilità. Ed è vero che questi su cui riflettiamo non sono valori validi in senso assoluto: ma variano a seconda del mese, dell’anno, della regione, della nazione, del continente. Perciò lasciamo da parte queste distinzioni fra i generi, che producono competizione e discriminazione, e tentiamo invece tutti di migliorare in generale la sicurezza stradale rivedendo il nostro personale atteggiamento di autisti, passeggeri e pedoni: c’è bisogno di più calma, lucidità e soprattutto responsabilità. Come ha dichiarato Alessandro De Martino, amministratore delegato del Centro Studi Continental Italia:
Oltre l’80% degli incidenti è provocato da errori umani o comportamenti al di fuori delle regole. Nessuna tecnologia potrà mai sostituire una guida consapevole e i quasi 10 morti al giorno per incidente stradale sono un fatto inaccettabile.
Source: freedamedia.it