“I miei pensieri non sembrano miei”, “Chi sono?”, “Quando mi guardo allo specchio, non mi riconosco”. Questo genere di pensieri si verificano con molta frequenza nelle persone affette dal disturbo di depersonalizzazione o che stanno attraversando dei momenti di grande ansia.
La ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo è una costante. Tutti ci saremo chiesti qualche volta chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. È una cosa normale. Tuttavia, nel disturbo di depersonalizzazione si verifica con molta più frequenza e intensità.
Il disturbo di depersonalizzazione è caratterizzato da episodi persistenti o ricorrenti di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambe. Ma cos’è la depersonalizzazione? Gli episodi di depersonalizzazione sono dei momenti in cui compare una sensazione di irrealtà, stranezza o un distacco da se stessi e dal mondo esterno in generale.
La persona affetta da depersonalizzazione può sentirsi indipendente da tutto il suo essere e da ciò che la caratterizza (per esempio, “non sono nessuno”, “non ho niente di me”). La persona può anche sentirsi soggettivamente separata da alcuni aspetti dell’Io. Questi possono includere i sentimenti (per esempio la bassa emotività: “so di avere dei sentimenti, ma non riesco a provarli”).
Sentirsi separati dall’Io include anche avvertire una separazione rispetto ai propri pensieri (per esempio, “mi sento la testa annebbiata”), a parti del corpo, a tutto il corpo o a delle sensazioni (per esempio il tatto, la propriocezione, la fame, la sete, la libido). È inoltre frequente che diminuisca il senso della realtà.
Per esempio, la persona sperimenta una sensazione robotica, come di un automa, che ha scarso controllo dell’uso della parola e dei propri movimenti. L’esperienza della depersonalizzazione a volte può concretizzarsi in un Io scisso, con una parte da osservatore e l’altra da partecipante. Quando si verifica nella sua forma più estrema, è noto come “esperienza extracorporea“(dall’inglese out of body experience).
Il sintomo comune della depersonalizzazione è composto da diversi fattori. Questi fattori includono esperienze corporee anomale (per esempio l’irrealtà dell’Io e le alterazioni della percezione), intorpidimento fisico, emotivo e distorsioni del tempo con anomalie della memoria soggettiva.
Gli episodi di derealizzazione sono caratterizzati da una sensazione di irrealtà, distaccamento o mancata familiarità con il mondo. La persona può sentirsi come in un sogno o in una bolla, come se vi fosse un velo o una parete di vetro fra lei e il mondo che la circonda.
L’ambiente può essere visto come artefatto, privo di colore o vita. La derealizzazione di solito è accompagnata da distorsioni visive soggettive. Queste possono essere la sfocatura, l’acutezza visiva incrementata, il campo visivo ampliato o ridotto, la bidimensionalità o la piattezza, l’esagerazione della tridimensionalità. Possono verificarsi anche delle alterazioni in quanto a distanza o dimensioni degli oggetti (per esempio, macropsia o micropsia).
La macropsia consiste nel vedere gli oggetti più grandi rispetto alle dimensioni reali. La micropsia è il contrario, in altre parole vediamo gli oggetti più piccoli di quanto sono in realtà.
La derealizzazione può tradursi anche in distorsioni uditive, silenziando o accentuando le voci o i suoni. Per effettuare la diagnosi di questo disturbo, è richiesta la presenza di un malessere clinicamente significativo o di un deterioramento da un punto di vista sociale, lavorativo o altri settori importanti.
Occorre chiarire che, affinché si possa formulare una diagnosi di derealizzazione, le alterazioni citate non possono essere frutto dell’assunzione di medicinali e farmaci o di una malattia (come l’epilessia). Queste alterazioni non devono essere neanche un sintomi di schizofrenia, attacchi di panico, depressione maggiore, disturbo acuto da stress o disturbo da stress post-traumatico.
Le persone con disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione possono avere delle difficoltà a descrivere i loro sintomi e possono arrivare a pensare di essere pazze o che lo stanno diventando. Un’altra esperienza frequente è il timore di avere un danno cerebrale irreversibile.
Un sintomo comune è l’alterazione soggettiva del senso del tempo (per esempio, troppo veloce o troppo lento), così come una difficoltà soggettiva a ricordare vividamente i ricordi passati e a esserne padroni.
Sono frequenti anche i sintomi corporei più tenui, come saturazione, formicolio o sensazione di svenimento. La persona può mostrare una preoccupazione ossessiva nel tentativo di capire se esistono davvero o di controllarne le percezioni per determinare se siano o meno reali.
Non è raro riscontrare diversi gradi di ansia o depressione in chi è affetto da disturbo di depersonalizzazione. Un dato curioso è che queste persone tendono a reagire fisiologicamente in modo più intenso agli stimoli emotivi. Questi cambiamenti fisiologici si verificano in seguito all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, del lobulo parietale inferiore e dei circuiti della corteccia prefrontale limbica.
Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), la persona affetta da disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione deve rispettare i seguenti criteri diagnostici:
A. Presenza di esperienze persistenti o ricorrenti di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambe:
B. Durante le esperienze di depersonalizzazione o derealizzazione, le prove di realtà si mantengono intatte.
C. I sintomi provocano un malessere clinicamente significativo o un deterioramento da un punto di vista sociale, lavorativo o in altri settori importanti.
D. L’alterazione non può essere attribuita agli effetti fisiologici di una sostanza (per esempio farmaci e medicinali) o a un’altra patologia (per esempio l’epilessia).
E. L’alterazione non è dovuta a un altro disturbo mentale, como la schizofrenia, attacchi di panico, depressione maggiore, disturbo acuto da stress, disturbo da stress post-traumatico o un altro disturbo dissociativo.
In media, il disturbo di depersonalizzazione comincia a manifestarsi intorno ai 16 anni, anche se può cominciare agli inizi o a metà dell’infanzia. Di fatto, la maggior parte delle persone ricorda di aver avuto sintomi già in questa fase.
Più del 20% dei casi compare dopo i 20 anni e solo il 5% dopo i 25. La comparsa nel quarto decennio di vita o più tardi è molto insolita. L’inizio può essere estremamente repentino oppure graduale. La durata degli episodi di depersonalizzazione/derealizzazione può variare ampiamente, da breve (ore o giorni) a prolungata (settimane, mesi o anni).
Data la rarità dell’inizio del disturbo dopo i 40 anni di età, in questi casi possono esservi delle patologie soggiacenti, come lesioni cerebrali, crisi epilettiche o apnea notturna.
Il decorso della malattia è spesso cronico. Mentre in alcune persone l’intensità dei sintomi può aumentare o diminuire considerevolmente, altre riferiscono un livello costante nell’intensità che, nei casi estremi, può essere ricorrente per anni o decenni. D’altra parte, l’aumento dell’intensità della sintomatologia può essere causato da stress, peggioramento dell’umore o ansia, nuove circostanze stimolanti o fattori fisici, come la luce o la mancanza di sonno.
Occorre dire che non tutte le persone che presentano alcuni di questi sintomi sviluppano tale disturbo. Se i sintomi citati sono presenti la maggior parte del tempo e interferiscono seriamente nella vostra vita quotidiana, può essere necessario che vi rivolgiate a uno psicologo affinché valuti il vostro problema.
American Psychiatry Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), 5ª Ed. Madrid: Editorial Médica Panamericana.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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