Nell’isola caraibica, qualche mese la Rainbow warrior, la nave di Greenpeace è andata a vedere da vicino le fattorie che sono cresciute dal 2011, anno in cui è stato lanciato un progetto per sostenere l’ambiente e la salute pubblica.
Qui, infatti, il 50% della produzione di frutta e verdura non ha mai visto un prodotto chimico che uccide la biodiversità e influenza il suolo, mentre in Europa gli stati dell’Ue hanno votato a favore del rinnovo per altri cinque anni del famigerato glifosato.
In un articolo de El Tiempo, Franco Segesso, esperto argentino in agricoltura spiega cosa si nasconde dietro questo progetto rivoluzionario, da cui tutto il mondo dovrebbe imparare.
“L’agroecologia è stata la via d’uscita dalla crisi sull’isola. I primi anni della rivoluzione, Cuba aveva optato per un modello intensivo con l’utilizzo di agrofarmaci, principalmente per il tabacco e la canna da zucchero. Ma con la crisi economica, aggiunta alla caduta dell’Unione Sovietica e al blocco degli Stati Uniti, l’isola è stata costretta a produrre localmente. Diverse organizzazioni locali e scientifiche, hanno allora pensato all’agroecologia”, spiega Segesso.
In pratica, grazie a un programma nazionale di agricoltura urbana e periurbana riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), oltre 350mila persone hanno trovato lavoro e sono uscite dalla povertà creando fattorie agro ecologiche.
“Il programma è nazionale, ma ogni comune ne ha la gestione assieme a università e organizzazioni. I piccoli agricoltori producono cibo sano e senza pesticidi, che rispetta il ciclo vitale”, continua l’esperto.
Una politica che ha cambiato l’esistenza di molte persone, basti pensare che nel mondo 800milioni soffrono la fame.
“Il programma è concepito come una priorità per la sicurezza nazionale. Questo cibo viene consumato nelle scuole, ospedali, centri psichiatrici e tra le forze armate. È essenziale che altri paesi del Sud America adottino questo modello”, dice Segesso.
Il programma cubano ha quattro basi: semi, acqua, la gestione ecologica dei parassiti e la gestione integrale delle colture. C’è, dunque, il rispetto della diversità delle colture, la prevenzione dei parassiti senza l’uso di sostanze chimiche. Queste quattro basi, insomma, sono ciò che consente di avere un modello agricolo a misura d’uomo e non industriale per nutrire la popolazione.
Ma non solo. Come sappiamo a Cuba ci sono periodi di siccità in diversi luoghi. Sono state fatte delle piccole dighe che incoraggiano la policoltura perché con il terreno sano si consuma meno acqua.
“I sistemi agroecologici si basano sull’efficienza energetica nel loro funzionamento e nel consumo. Ad esempio, abbiamo visto molti casi di aziende agricole con biodigestori, dove escrementi di animali e residui colturali sono usati per generare elettricità. Queste sono strategie che l’agroecologia abbraccia e che certamente non si vedono nell’agrobusiness”, conclude Segesso.
Source: greenme.it
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