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In crisi il ‘mercato’ dei clandestini messicani. Ma non per il muro di Trump

Il crollo del numero di immigrati che tentano di entrare clandestinamente negli Stati Uniti dal Messico sta mettendo in crisi la lucrativa industria dei “coyote”, come vengono chiamati in gergo i trafficanti di persone, almeno stando agli irregolari che ce l’hanno fatta. E non è il muro promesso dal presidente Donald Trump il deterrente, assicurano i ‘latinos’ che ci sono passati, ma la paura di essere espulsi dopo aver rischiato la vita per passare la frontiera.

I ‘coyote’ fanno i saldi

La maggioranza attraversa a piedi, di notte, lungo le rotte che i “coyote” conoscono a memoria, controllate dei narcotrafficanti ai quali si paga il “pizzo”. “Per la rotta che porta in Texas, nella zona di El Paso, ci vogliono tra 2.500 e 3.000 dollari ma si può spendere anche meno perché i ‘coyote’ stanno perdendo clienti e stanno scontando le tariffe”, ha raccontato Maria, clandestina di 38 anni, da 19 anni negli Stati Uniti, con 3 lavori, una casa, un’auto, un compagno – messicano e irregolare pure lui – un figlio di 18 anni nato in America, quindi cittadino americano, e il resto della famiglia, compresi altri due figli più grandi, a Città del Messico.

Il muro è l’unica cosa su cui noi messicani ridiamo, Trump lo può fare alto e lungo quanto vuole, noi passeremo sotto o sopra”, ha detto Maria e a ragion veduta perché lei il muro di lamiera metallica sagomata già esistente al confine, in alcuni tratti, lo ha scavalcato: nella zona di El Paso che si trova quasi al centro della linea di confine lunga 3.145 chilometri che si estende dal Texas fino alla California. “Mi sono graffiata con le lamiere, sanguinavo ma l’adrenalina era tale che sono riuscita ad andare avanti”, ha raccontato la donna mostrando le cicatrici.

Storia di Maria, che ride del muro di Trump

E’ minuta, con i lineamenti dolci, sorridente ma dallo sguardo malinconico. Si è sposata in Messico a 16 anni, a 18 anni aveva già due figli, il marito l’ha lasciata. Una sera, tornando dal lavoro hanno cercato di violentarla e lei ha deciso che doveva partire per cercare di offrire ai figli una vita migliore. Li ha affidati, piccolissimi, ai suoi genitori. Ormai sono grandi e hanno studiato ma lei non vuole che la raggiungano da clandestini. “Solo il pensiero dei miei figli nella situazione in cui mi sono trovata io mi far star male. Molti mi giudicano, ma ho preferito non vederli piuttosto che sottoporli ad un simile calvario per passare il confine. Io avevo 18 anni ed è stato terrificante. Nel mio gruppo ero l’unica donna. Abbiamo incontrato il nostro ‘coyote’, sul quale avevo avuto buone referenze, non lontano dal confine. Gli abbiamo dato i soldi e poi ci siamo diretti verso una zona con un pulmino”.


“A un certo punto siamo stati fermati”, ha aggiunto, “erano i ‘narcos’ che prendono tangenti su ognuno di noi. Se non si paga si viene uccisi. Ma pensa a tutto il coyote. Deve stare attento a non mentire sul carico di persone altrimenti ammazzano pure lui”. Si aspetta che faccia buio prima di passare il confine a piedi. “Io avevo paura perché gli altri uomini del mio gruppo avevano bevuto. Lungo il percorso, almeno 10 ore di cammino, si sentono delle urla agghiaccianti. Soprattutto di donne. Il ‘coyote’ spiega che alle volte sono gli stessi trafficanti a violentarle mentre le scortano. Ma non si può fare nulla. Si deve solo andare avanti”.

Così come si lascia indietro chi si sente male e spesso muore per colpi di calore, disidratazione, ipertermia. “E poi ci sono i ranger – ha proseguito Maria – che se se ti vedono ti sparano, non cercano di catturarti. Abbiamo prima attraversato una zona desertica poi il fiume Rio Grande, con dei piccoli canotti. Io sono stata fortunata. E’ andata bene. Il ‘coyote’ ci ha portati a casa sua, dove viveva la sua famiglia. Ha aspettato che i miei genitori gli spedissero degli altri soldi e poi mi ha comprato un biglietto per San Francisco dove ho raggiunto mio fratello e mia sorella”.

Il ritorno a casa

Dopo qualche anno Maria si è trasferita in Texas, a San Antonio, dove gli ispanici rappresentano oltre il 60% della popolazione. E’ una città praticamente bilingue, dove il “texmex” è più in voga del barbecue e il Margarita è il cocktail piu’ gettonato Per i 15 anni di sua figlia, Maria ha deciso che doveva tornare in Messico per organizzarle la festa del debutto in società, la ‘Quinceanera’, un ricevimento più pomposo di un matrimonio, cui i messicani tengono molto.

Così è partita in aereo con il figlio americano ed è rimasta a Città del Messico per due anni, prima di rifare il viaggio della speranza. Il figlio con passaporto statunitense lo ha imbarcato in aereo e lei ha contattato un altro coyote. Questa volta ha optato per un ‘pacchetto viaggio’ in camion, nel doppiofondo, insieme ad uno zio. Costa un po’ di più rispetto alla traversata a piedi. Il doppiofondo del camion con sopra la merce “è come una bara. Quasi non si respira e non si deve respirare altrimenti i cani alla frontiera ti scoprono”, ha riferito Maria. “Ci hanno detto di non mangiare cibi speziati, niente aglio o cipolla, di non indossare profumi o deodoranti. Siamo riusciti a passare la frontiera, ma poi il coyote ci ha mollati. Ci ha lasciati a piedi e abbiamo dovuto continuare da soli. Abbiamo camminato almeno per otto ore e non eravamo attrezzati. Mio zio ha avuto delle allucinazioni per il caldo. Alla fine siamo riusciti ad arrivare”.

Una intera comunità vive nella paura. Delle deportazioni

Le mancano i figli ma non è pentita perché ha ottenuto quello che voleva: farli studiare. Grazie al figlio con la cittadinanza americana, quasi maggiorenne, sperava di riuscire ad avviare presto le pratiche per la regolarizzazione. Ma alla Casa Bianca è arrivato Donald Trump e ora teme la deportazione. “La polizia ti ferma anche se non superi i limiti di velocità. Abbiamo paura ad uscire. Nella nostra comunità in soli tre mesi non c’è nessuno che non abbia un parente o un conoscente che non sia stato fermato e deportato, anche se no ha fatto niente di male”, spiega Maria che ha cominciato a mettere da parte soldi per costruire una casa in Messico dove teme di dover tornare.

Che gli ingressi dei clandestini dal Messico siano crollati è stato confermato dal Customs and Border Protection, l’agenzia federale da cui dipende la polizia di frontiera che ha segnalato un crollo del 40% lo scorso mese di febbraio a fronte di rialzi medi compresi tra il 10% e il 20% in questa stagione.

Dopo il boom di ingressi di clandestini, tra gli anni Novanta e il 2007 quando è stata toccata la cifra record di 12,2 milioni, è cominciata un’inversione di tendenza, anche perché sono migliorate le tecnologie per i controlli, tra sensori e droni. Negli ultimi anno il dato è sceso di circa un milione. Sono aumentati i casi di ‘human trafficking’, cioé traffico e sfruttamento di esseri umani (come forza lavoro o nel giro della prostituzione o della pedofilia) un reato diverso rispetto allo “smuggling” cioè il semplice accompagnamento di clandestini negli Usa. Il National Human Trafficking Hotline ha segnalato lo scorso febbraio che sono stati denunciati 7.500 casi di ‘human trafficking’, nel 2016 contro i 5.526 del 2015, di cui 1.300 in California, 670 in Texas, e 550 in Florida. Ciò significa che sono almeno il doppio, spiegano, perché questi sono solo quelli rilevati.

Source: agi.it/estero

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