Nove traslochi in sei anni, sei coinquilini diversi; si può dire che da ventenne ho preso alla lettera l’entusiasmante idea di uscire fuori casa, per scoprire il mondo e me stessa. Ho scoperto il mondo? Non proprio. Ho trovato me stessa? Non esattamente. Lo rifarei? Sì, senza ombra di dubbio. Anche se invece di trovare risposte mi si sono duplicate le domande, in realtà ho imparato tantissimo confrontandomi con la vita, non solo fuori dal nucleo famigliare, ma anche al di fuori della mia città natale. Uscire di casa è stata l’esperienza più entusiasmante – e a tratti più spaventosa – che ho potuto fare, e anche se dovrebbe essere una passaggio obbligato, sapendo che per svariati motivi in questo momento storico non lo è, si può considerare come una scelta molto bella e anche molto formativa.
Per quanto lasciare casa mi sia costata la fatica emotiva di avere lontano i miei affetti più cari, in realtà una parte di me era già pronta alla volta di nuove avventure, sapendo che in qualche modo questa distanza avrebbe avuto degli effetti benefici anche sulle relazioni. Quindi, per fare una somma delle cose positive, gli elementi che mi vengono in mente sono questi:
1. Il trasloco come esperienza formativa
Ne abbiamo già parlato e, per come l’ho vissuto io, il trasloco è inizialmente l’esperienza di cui vorresti fare a meno, e in ultimo quella che ti riprometti di non fare MAI più: nel mezzo, però, ci sono però i traslochi felici, dove puoi constatare di aver imparato a vivere “con niente” (le virgolette sono d’obbligo, perché alla fine non si sa come, ma si accumula, si accumula inevitabilmente, e basta). Diciamo che in questa fase di mezzo si capisce cosa è essenziale e cosa no; cominci a dare un ordine e un valore alle cose che ti circondano, impari a scegliere – il che aiuta anche, in generale, a chiarirsi le idee.
2. Stare con gli altri
La prima convivenza con un estraneo è un bel banco di prova rispetto al proprio modo di relazionarsi agli altri e agli ambienti (vedi punto successivo). Detto questo, imparando a rispettare le regole base del vivere insieme, avere dei coinquilini per me è stata una scoperta, una specie di festa continua; sono riuscita ogni volta a ricreare un ambiente famigliare, per cui quando tornavo a casa c’era qualcuno pronto a scambiare due chiacchere di fronte a un piatto di pasta. E la possibilità di creare dei legami forti parte dal rispetto reciproco del modo di vivere altrui.
3. Gli spazi personali
Sono disordinata lo so e lo ammetto, ma ho imparato a gestire la cosa. Continuo a pensare che sia un ordine alternativo, e che di base non ci sia nulla di sbagliato nell’avere una visione creativa degli spazi, ma con la vita fuori casa ho comunque dovuto fare i conti con questa tendenza, imparando che sì, è bello essere dei creativi, ma magari nel chiuso della propria camera. Negli spazi comuni – per amore degli altri e per amor proprio – ho imparato che anche l’ordine tradizionalmente inteso ha un suo valore e un suo perché.
4. Sapere di non sapere
Uscire fuori di casa: non c’è metodo migliore per metterti faccia a faccia con le tue capacità. I nemici numero uno sono stati per me la lavatrice e la cucina. Di lavate ne avevo già fatte naturalmente, ma organizzarle all’interno della settimana con il resto degli impegni – casalinghi e non – è diventato il mio simpatico tormentone (più per me che per i miei amici, che dicevano sempre che alla domanda “cosa fai nel weekend?” la mia risposta base era: “devo lavare”). Una volta risolto il problema organizzativo – e imparato a non mischiare i colori – sono passata alla risoluzione del secondo: il non saper cucinare. Quando hai qualche familiare compassionevole che ti prepara la cena per quando torni tardi a casa, va tutto bene: ma se vivi da solo? Ecco che ti accorgi, come per la lavatrice, che in realtà non sai cucinare: e sebbene lo sospettassi anche prima, vivendo fuori casa i dubbi diventano certezze. Meno male che il senso di sopravvivenza – che si acuisce in esperienze come questa – ha la meglio, e si impara a non lasciarsi morire su un divano in attesa che qualcuno provi pietà. E a organizzarsi.
5. Le responsabilità
La paura non sarà più uno stile di vita, ma solo un’emozione. Condivido il pensiero dell’autrice di un articolo che ho letto tempo fa sull’andare fuori casa, in cui si dice che con l’aumentare delle responsabilità aumenta anche la fiducia che si ha in se stessi. Dal provvedere al proprio sostentamento alimentare fino alle bollette, le scadenze e tutta la burocrazia legata alla gestione della casa. Non c’è esperienza migliore per essere stimolati a non delegare i propri problemi a qualche parente, ma a cavarsela da soli, scoprendo sorprendentemente che siamo più capaci di quello di pensiamo – anche di cambiare le lampadine, arginare situazioni estreme come lo scaldabagno che esplode all’improvviso e prendersi cura di un coinquilino con una febbre da cavallo. Gestire il panico a volte significa anche sentirsi bene nella propria pelle.
Riassumendo: libertà. Non tanto di “fare” quello che si vuole – perché in verità, aumentano esponenzialmente le cose da gestire, per cui il tempo libero diventa un miraggio – ma di decidere cosa è meglio per sé, le proprie priorità. Cosa comprarsi da mangiare, cosa sperimentare, che prodotti per la casa utilizzare: sono passata per moltissime “fasi” convinta che la cosa più bella fosse proprio quella di scegliere, e vivere secondo i propri ritmi e seguendo i propri valori.
Poi certo, tutti gli inconvenienti, i problemi con i proprietari di casa, i litigi dei coinquilini e tutte le storie brutte, quelle le sappiamo. Come anche il desiderio di uscire di casa e l’impossibilità economica di farlo – per cui finisce che si ospitano amici “abusivi” per mesi, scoprendo di essere ben contenti di riuscire in qualche modo a condividere questa esperienza. Ma leggendo l’articolo di quella ragazza ho pensato che davvero di risposte alle domande con cui ero partita – assieme ai miei bagagli d’aspirante attrice – quando ho lasciato a casa non ne ho trovate molte; ma ho imparato senz’altro a formularle meglio.
Source: freedamedia.it