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Cosa succede se Trump mette al bando la Fratellanza Musulmana

Beirut – Dar seguito all’intenzione di Donald Trump di inserire la Fratellanza Musulmana nella lista delle organizzazioni terroristiche avrebbe una lunga serie di controindicazioni. In Giordania i diplomatici americani perderebbero l’opportunità di incontrare gli esponenti delle opposizioni. In Marocco si scuoterebbero equilibri politici delicatissimi, coinvolgendo persino i vertici del governo. In Tunisia si bollerebbe con il marchio del terrorismo un’organizzazione da molti indicata come un modello di democrazia emerso dalla primavera araba. L’Egitto potrebbe subire ricadute politiche molto pesanti.  

Metterla al bando, quali conseguenze?

All’interno dell’amministrazione americana sta infatti continuando a prendere corpo quello che si potrebbe chiamare “Ikhwan ban” (Ikhwan in arabo vuol dire per l’appunto “fratellanza”): l’idea di un ordine esecutivo che designi i Fratelli musulmani come gruppo terroristico, e non più come movimento politico transnazionale.

  • Egitto: Ma a sorridere sarebbe solo il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, che dal 2013, anno in cui fu deposto l’allora presidente ed esponente della Fratellanza, Mohamed Morsi, governa il suo paese con durezza. Secondo le organizzazioni per i rispetto dei diritti dell’uomo, già decine di migliaia di esponenti della Fratellanza si trovano rinchiusi nelle carceri egiziane. Potrebbero aumentare
  • Marocco: Qui, lo scorso ottobre, un partito affiliato alla Fratellanza ha vinto le elezioni politiche, e ora uno dei paesi più vicini all’Occidente (quello dove pochi giorni fa è stata rivista l’interpretazione coranica che ammetteva l’uccisione dell’apostata) ha come primo ministro una persona che alla Fratellanza è vicina
  • Tunisia: A Tunisi scivolerebbe nella semiclandestinità, se passasse l’idea di Trump, il partito di Ennahda, finora forza in grado di mediare tra l’estremismo di alcuni settori della società tunisina e la via democratica scelta dalle autorità dopo il 2011.

Del resto, il rapporto tra la Fratellanza Musulmana e il mondo occidentale è sempre stato costellato da facili equivoci, fin dal primo giorno.

Dalla rivolta alla rinuncia alla violenza:

I Fratelli Musulmani vengono fondati da Hassan al Banna nel 1928 in Egitto. Si oppongono sin dal 1936 al mandato britannico nel Paese, e alcuni suoi membri nel corso degli anni si rendono responsabili di atti violenti e omicidi. Vanno così incontro a varie ondate di repressione governativa (le più importanti nel 1948, 1954, 1965), fino alla rinuncia alla violenza nel 1970: da quel momento la Fratellanza – che nel frattempo apre uffici in gran parte dei Paesi a maggioranza musulmana sunnita, dal Marocco all’Indonesia – si dedica ad attività caritatevoli e fornitura di servizi pubblici, facendosi portatrice di valori da promuovere pacificamente, dal basso, la cosiddetta strategia gradualista.

Nel corso degli anni, i Fratelli Musulmani entrano nell’arena politica dei paesi del Medioriente, ottenendo seggi in parlamento. Dopo l’11 settembre, l’amministrazione di George W. Bush lancia delle attività investigative nei confronti di sostenitori della Fratellanza: le indagini vengono chiuse un paio di anni dopo per mancanza di prove, e portano alla rimozione di decine di persone dalla lista dei soggetti sanzionabili.

L’occasione egiziana con l’elezione di Morsi:

Il momento di maggior successo dei Fratelli musulmani coincide con l’elezione di Mohammad Morsi a presidente dell’Egitto nel 2012, e precede la loro fase più difficile. Il suo mandato dura infatti un anno, prima del colpo di Stato portato a termine nell’estate del 2013 dal generale Abdel Fattah Al Sisi, attuale presidente egiziano.

Da quel momento, tre paesi in particolare – Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti – decidono di inserire i Fratelli Musulmani nella lista dei gruppi terroristici. L’idea dell’amministrazione americana va letta anche alla luce delll’attività di lobbying di questi paesi, come scrive il New York Times, che dal 2013 al 2015 avrebbero fatto pressioni in questa direzione in ogni incontro bilaterale con Washington.

Steve Bannon li vuole fuorilegge

La designazione della Fratellanza a gruppo terroristico – promossa sopratutto dal Capo stratega di Trump, Steve Bannon, e da Frank Gaffney, fondatore del Center for Security Policy e consigliere di Trump – pone sia problemi di ordine concettuale che pratico: non c’è dubbio, come scrive Shadi Hamid sull’Atlantic, che la Fratellanza sia portatrice di valori illiberali e autoritari; si potrebbe persino sottoscrivere – per certe espressioni della Fratellanza – la definizione di “hate group”, data da Eric Trager, ricercatore del Washington Institute for Near East Policy.

Il punto, però, è che per attribuire ad un gruppo l’aggettivo “terroristico” è necessario che esso si renda protagonista di atti terroristici: e la Fratellanza da anni rifiuta esplicitamente la violenza, e non può essere equiparata a movimenti come Al Qaeda, Stato islamico, Al Shabaab o Boko Haram. Al contrario, la Fratellanza esprime tuttora partiti politici pacifici in Tunisia (Ennahda), Turchia (Akp), Kuwait (Hadas), Marocco (Jdp) e altri, con cui gli Stati Uniti hanno relazioni.

La condanna dell’Isis:

La scomunica di Daesh (acronimo arabo per Stato islamico) nei confronti della Fratellanza ha una data precisa, e un atto semiformale: la pubblicazione nel marzo 2016 di un numero specifico della rivista dello Stato Islamico, “Dabiq”, il cui titolo recitava “I Fratelli musulmani apostati”.

Sono due le ragioni principali dell’ostilità dei gruppi terroristici alla Fratellanza:

  • la prima attiene al “metodo”, cioè quel “gradualismo” scelto dai Fratelli musulmani per “islamizzare” dal basso la società, escludendo esplicitamente la lotta armata ed entrando nel gioco della democrazia e dell’ordine costituzionale;
  • la seconda è quella della disponibilità al confronto – concretizzatasi durante il mandato di Morsi, e già prima di lui con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan – con l’Occidente e con paesi come Israele da una parte e l’Iran sciita dall’altra.

Perché è difficile mettere fuorilegge i Fratelli musulmani

Le controindicazioni pratiche della possibile designazione della Fratellanza a gruppo terroristico non sono poche.

  1. Da un lato il pericolo che una tale decisione finisca per colpire musulmani di ogni tipo anzitutto negli Stati Uniti, se si considera che lo stesso Gaffney ha definito tre importanti associazioni islamiche american, impegnate nel dialogo interreligioso – la Islamic Society of North America, la North American Islamic Trust e il Council on American islamic relations – come delle “affiliate dei Fratelli Musulmani”, sebbene non esista alcuna evidenza in tale direzione. Inoltre, le clausole del ministero del Tesoro per congelare gli asset e perseguire chi “fornisca supporto finanziario o tecnologico ad un gruppo” sono piuttosto lasche, e si basano sul “ragionevole sospetto”, non su prove.
  2. Dall’altra il rischio, piu’ “transnazionale”, che stigmatizzando e bandendo un movimento importante, pacifico e radicato come la Fratellanza, si finisca per spianare la strada ai suoi sostenitori potenziali o reali verso la “radicalizzazione”, l’affiliazione a gruppi violenti. Reprimere movimenti politici pacifici, ma di ispirazione religiosa, non solo indebolisce l’attecchimento della logica democratica, affossando il principio di rappresentatività che ne è alla base e spingendo i loro sostenitori a credere che non abbia alcuna rilevanza; contribuisce anche a produrre quella dose di disincanto, di disagio che spinge nel lungo termine alla violenza e al jihadismo.

Source: agi.it/estero

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