Purtroppo siamo abituati a sentir parlare di diversi tipi di demenza, ma di solito non ci viene spiegato in modo chiaro cosa succede al cervello quando si soffre di queste malattie. Per questo motivo, l’obiettivo del nostro articolo di oggi è quello di spiegare, nel modo più semplice possibile, che cosa succede al nostro cervello quando ci viene diagnosticato l’Alzheimer.
Parleremo anche di uno dei progressi più speranzosi per quanto riguarda il trattamento dell’Alzheimer. Questa nuova scoperta, pubblicata da poco sulla rivista Nature, è talmente importante che i risultati ottenuti potrebbero cambiare il corso di questa malattia come la conosciamo al giorno d’oggi.
Quando si soffre d’Alzheimer, si verifica una grave degenerazione del cervello, soprattutto dell’ippocampo, della corteccia entorinale, della neocorteccia (in particolare la zona che mette in connessione il lobo frontale e quello temporale), dei gangli della base, del locus coeruleus e dei nuclei del rafe.
Tuttavia, a cosa si riferisce tutto ciò? Stiamo parlando di diverse zone del cervello che, spiegato in modo semplice, contribuiscono alla formazione dell’apprendimento, alla memoria e alla gestione emotiva. Come potete vedere, tutte queste funzioni sono altamente compromesse nei pazienti che soffrono di Alzheimer.
E come si svolge la degenerazione di queste aree? Si deve allo sviluppo di placche senili, o placche amiloidi, e di ammassi neurofibrillari. Tuttavia, prima di spiegare che cosa sono queste placche o questi ammassi, è importante sapere da cosa sono formati i neuroni:
Le placche senili sono dei depositi che si trovano al di fuori delle cellule cerebrali e che sono composti da un nucleo la cui proteina si conosce come beta-amiloide. Questi depositi sono circondati da assoni e da dendriti che sono in processo di degenerazione. Questa degenerazione è un processo naturale in qualsiasi cervello umano e non è, quindi, patologica.
Vicino alle placche senili, inoltre, troviamo i microgliociti attivi e gli astrociti reattivi, cellule implicate nella distruzione di altre nocive. Intervengono anche le cosiddette cellule gliali fagocitiche, che si occupano di distruggere gli assoni e i dendriti degenerati, lasciando solo il nucleo di beta-amiloide.
Gli ammassi nuerofibrillari sono composti da un neurone che sta morendo e che contiene un accumulo intercellulare di filamenti intrecciati di proteina tau. La proteina tau normale è una sostanza dei microtubuli, che rappresentano il meccanismo di trasporto della cellula.
Durante lo sviluppo dell’Alzheimer, alla proteina tau si attacca un’eccessiva quantità di ioni fosfati, il che modifica la sua struttura molecolare. Questa struttura si trasforma in una serie di filamenti anomali che possono essere osservati nel soma e nei dendriti più vicini delle cellule della corteccia cerebrale.
Questi ioni, inoltre, alterano il trasporto delle sostanze all’interno della cellula, che quindi muore e lascia al suo posto un ammasso di filamenti di proteine.
Un attimo, abbiamo forse appena detto che i neuroni si deteriorano? Sì, proprio così, ed è un processo naturale dell’invecchiamento umano. Tuttavia, nel caso dell’Alzheimer, la formazione di placche amiloidi si deve alla produzione di una forma difettosa di beta-amiloide, il che accelera la morte neuronale, differenziando il processo da quello dell’invecchiamento normale.
Ciò significa che, per quanto riguarda la plasticità che tutti i cervelli hanno, nella quale ci sono neuroni che si degenerano, ma che non causano alcun danno o che sono sostituiti da altri, si produce un’alterazione di questo processo a causa dalle placche di beta-amiloide.
Di recente, la rivista Nature ha pubblicato un articolo intitolato Alzheimer’s disease: Attack on amyloid-β protein (Malattia di Alzheimer: attacco alla proteina beta-amiloide), scritto da Eric M. Reiman con alcuni collaboratori. In questo articolo si spiega la scoperta di nuovi progressi sul trattamento dell’Alzheimer, soprattutto sul tema della proteina beta-amiloide.
La ricerca di Reiman e dei suoi collaboratori si concentra su un nuovo farmaco che previene la distruzione dei neuroni e l’accumulo di placche di proteine amiloidi che, come spiegavamo prima, sono considerate una delle principali cause del deterioramento cognitivo dell’Alzheimer.
Félix Viñuela, neurologo e ricercatore dell’Ospedale Virgen Macarena di Siviglia, in Spagna, ha dichiarato che “questo farmaco arriva fino al cervello, si unisce al deposito delle sostanze tossiche e lo elimina da lì”. Inoltre, “abbiamo potuto constatare che una quantità maggiore di farmaco somministrata equivale ad una migliore guarigione dei pazienti”.
Tuttavia, gli stessi ricercatori sottolineano che, per ora, si tratta di una ricerca condotta in 300 ospedali in America del Nord, Europa e Asia, soprattutto su pazienti affetti da Deterioramento Cognitivo Lieve (MCI) e che, anche se si tratta di un progresso molto speranzoso, c’è ancora molta strada da fare perché possa essere utilizzato e per poter dimostrare i suoi effetti positivi a lungo termine.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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