Sapevate che lo scorso anno in Italia per un certo periodo il reato di stalking poteva essere cancellato con un pagamento? Sì, avete capito bene: con la riforma n. 103 del 23 giugno, lo stalking era finito “per sbaglio” tra quei reati estinguibili con una condotta riparatoria economica, ossia con un risarcimento dei danni da parte dell’imputato. In una delle prime applicazioni, presso il Tribunale di Torino, il giudice Rosanna La Rosa aveva imposto a una vittima di accettare 1.500 euro in cambio della cancellazione di due mesi di persecuzioni. La svista legislativa, denunciata prima da tre sindacaliste – Loredana Taddei della CGIL, Liliana Ocmin della CISL e Alessandra Menela della UIL – poi da alcuni giuristi, è stata corretta il 14 novembre 2017 con un emendamento, proposto da Mara Carfagna del PdL, ora vicepresidente della Camera dei deputati, con l’appoggio di Francesca Puglisi del PD, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.
Non possiamo ancora dire quanto i cinque mesi di depenalizzazione abbiano influito sulla percezione collettiva del fenomeno stalking. Certo è che le denunce sono ancora poche: secondo il freschissimo Rapporto SDGs 2018 dell’ISTAT per Agenda 2030 – il progetto globale quindicennale per lo sviluppo sostenibile voluto dalle Nazioni Unite -, negli ultimi anni in Italia si è riscontrato un aumento delle condanne per violenza sessuale, ma una percentuale bassa di denunce – solo l’11,4% delle donne italiane e il 17% delle straniere dichiarano di aver subito violenza -, di cui la metà arriva in tribunale. E, in particolare per i reati di stalking, solo il 51% degli iscritti in procura subisce un’azione penale – per approfondire, leggete qui l’articolo di Cristina Da Rold su Il Sole 24Ore.
Insomma, c’è ancora tanto da combattere nella lotta contro la violenza, sessuale e di genere. Il primo baluardo da abbattere è quello dell’ignoranza: sappiamo cos’è lo stalking e come riconoscerlo? Come funziona la legge anti-stalking negli altri Paesi? E nel nostro?
Lo stalking – dal verbo inglese to stalk, “cacciare in appostamento” o anche “pedinare furtivamente” – è quell’insieme di molestie e di comportamenti assillanti e reiterati nel tempo, spesso di natura sessuale, tenuti da un individuo, detto stalker, ai danni di un altro. Non a caso scelgo il termine generico di “individuo”, senza specificare la relazione che intercorre tra i due soggetti: può trattarsi di chiunque, di una persona sconosciuta o amica, di uno spasimante, un parente o un partner. Le “attenzioni speciali” non gradite che lo stalker impone all’oggetto della sua ossessione comprendono atteggiamenti invadenti, di intrusione e/o con pretesa di controllo, e possono consistere in telefonate, lettere, sms e mail di contenuto amoroso e/o minatorio, e in appostamenti, minacce, atti vandalici e aggressioni. Com’è ovvio, questi atti persecutori violano la privacy, l’autonomia e l’identità della vittima, e possono causare in lei stati di malessere psicologico, come paura, ansia o paranoia, fino a compromettere il normale svolgimento della sua vita.
Statisticamente in Italia lo stalking è un comportamento per lo più maschile, ma anche le donne si macchiano di questo reato – date un’occhiata a questo articolo che fa riferimento al controverso caso di una stalker che ha tormentato il suo intero quartiere per 5 anni. In ogni caso, questa fattispecie di molestia è spesso preludio di violenze più gravi, come lo stupro e l’omicidio: perciò è legata al quadro della violenza di genere.
Secondo questo articolo su Profiling, il giornale scientifico a cura dell’Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici, è difficile stabilire a priori la quantità e la qualità degli atteggiamenti da considerarsi molesti, anche perché può trattarsi sia di gesti non penalmente rilevanti sia di veri e propri illeciti.
Oltre alle condotte poi c’è da valutare l’entità della parte soggettiva e quindi la legittimità dell’accusa. Gli esperti Maria Sciarrino, Marialuce Benedetti e Raffaele Mazzola scrivono:
Difficilmente valutabile è anche lo stato dei vissuti della vittima di stalking e del relativo danno esistenziale connesso al suo stato di vittima; tanto è che alcuni autori di livello internazionale (es. JHD Jagessar, L. Sheridan, 2004), suggeriscono il criterio della “sofferenza soggettiva”, ovvero come i comportamenti vessatori dello stalker determinino sofferenza specifica in rapporto alla soggettività della vittima. A complicare il quadro si aggiunge il problema delle cd “false vittime”, i cui timori originano non dai comportamenti reali di stalking ma da situazioni patologiche, quali possono essere ad esempio gli stati maniaco-persecutori, paranoidei o stati alterati di coscienza.
Esiste quindi anche una certa percentuale di false denunce. Anche perciò è importante continuare a studiare e a sensibilizzare la comunità riguardo il fenomeno: per insegnare a quanti più cittadini a riconoscere il reato e per renderne migliori le modalità di verifica di sussistenza.
La persecuzione è considerata un atto criminale, ed è penalmente rilevante e punita in molti ordinamenti. Il primo a riconoscere nello stalking un crimine fu la California nel 1990, cui hanno fatto seguito quasi tutti gli Stati Uniti d’America – il termine infatti è preso in prestito dalla letteratura scientifica anglofona sull’argomento, adottata poi dai giuristi della common law.
Grazie all’azione del giudice John Watson della Orange County, lo stato della California fu il primo ad adottare una normativa sullo stalking, introducendo nel 1994 il DPPA, Driver’s Privacy Protection Act, lo statuto federale che proibisce la diffusione di informazioni personali senza l’espresso consenso della persona: come per esempio la targa di un motoveicolo, la cui rivelazione nel 1989 costò la vita all’attrice e modella Rebecca Shaeffer, uccisa da un fan ossessivo.
Secondo la normativa californiana, nel reato di stalking devono essere presenti la volontà nel molestare, il compimento di due o più atti e una minaccia credibile, fisica o verbale – dal 2000 comprende anche le forme di cyberstalking, ossia di molestia virtuale. La pena prevista può essere, a seconda della gravità, un risarcimento pecuniario, fino a un anno di detenzione; inoltre la Contea può imporre una pena accessoria: un restraining order, ossia misure restrittive fino a un massimo di dieci anni per il condannato, che dovrà registrarsi come “reo sessuale”.
Agli Stati Uniti – che erano stati preceduti in un certo senso dalla Cina, che dal 1987 punisce i reati di stalking con la pena capitale – si sono poi uniti Canada, Australia, India, Giappone e molti stati europei come Inghilterra, Germania, Francia, Olanda, Romania e Italia.
In Italia lo stalking, detto delitto di “atti persecutori”, è regolato dal D.L. n.11 del 23 febbraio 2009 – parliamo del cosiddetto Decreto Maroni, che conteneva la proposta di ronde cittadine; qui il testo completo.
Nel decreto, l’articolo 612-bis riporta:
Atti persecutori. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Nella legge di conversione, n.38 del 23 aprile 2009 – qui il testo – vengono apportate alcune modifiche e aggiunte: come l’art. 8, che prevede la possibilità per la persona offesa di avanzare una richiesta di ammonimento alla questura prima di intentare la querela; o l’art. 12, che istituisce un Numero Verde di pubblica utilità presso il Dipartimento delle pari opportunità – il famoso Numero Anti Violenza e Stalking 1522, gestito dalla Onlus Telefono Rosa. Così, l’articolo 612-bis entra a far parte del Titolo XII del Codice Penale, fra i Delitti contro la persona, in particolare contro la libertà morale.
Quindi, con il DL n.93 del 14 agosto 2013 – qui il testo -, convertito nella cosiddetta legge sul femminicidio, la n.119 del 15 ottobre 2013, l’articolo sullo stalking viene così aggiornato:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque […] La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
[…] La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio
Sono aumentati quindi i termini temporali della pena, sono stati inclusi gli strumenti informatici e telematici , e la querela è revocabile solo durante il processo ma è irrevocabile se la minaccia è grave.
Come detto all’inizio, l’efficacia punitiva del 612-bis era stata secondo molti compromessa dall’approvazione dell’articolo sull’estinzione del reato per condotte riparatorie: il 612-ter della legge di conversione n. 103 del 23 giugno 2017 – il DL Orlando, qui il testo. Il primo comma dell’articolo infatti recita:
Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.
Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento […].
Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie.
Come spiega questo chiarificante articolo de Il Post, riportando le parole dell’avvocato Barbara Carsana, la nuova norma «si applica solo quando la querela è rimettibile, quindi solo, di fatto e in diritto, nei casi meno gravi». La legge però non ci fornisce strumenti ulteriori e più precisi per valutare la suddetta gravità. La norma è così lacunosa che molti giuristi pongono un problema di legittimità costituzionale, soprattutto riguardo le valutazioni dei profili soggettivi, che nel caso delle vittime dovrebbero presentare, come abbiamo letto, “un perdurante grave stato di ansia e di paura […] un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o da persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Per questo motivo altri ordinamenti, come quello austriaco, hanno preferito dare più rilevanza alla condotta che agli stati soggettivi della vittima. In Italia invece sarebbe necessario migliorare sia la definizione giuridica dei livelli di gravità sia l’analisi psicologica del reo e le tecniche di riconoscimento dei danni psichici alla vittima – per ulteriori approfondimenti, vi rimando ai testi di questo Convegno di Studi su Mobbing e Stalking.
Fortunatamente, come aveva assicurato l’allora Ministro della Giustizia Orlando, la riforma è stata emendata, a scanso di ulteriori dubbi interpretativi. Il rischio depenalizzazione è stato ovviato, quindi: ma bisogna adagiarsi sugli allori: c’è bisogno di ripensare e migliorare definizioni e sanzioni giuridiche. All’inizio del 2018 il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone, nella relazione per l’anno giudiziario, ha denunciato un “aumento di femminicidi e stalker”, evidenziando il crescente e allarmante abuso dei social media da parte dei giovanissimi – qui l’articolo completo da Il Sole 24 Ore. Nonostante nel settore penale si registrino una riduzione della durata media dei procedimenti e un notevole smaltimento di processi pendenti, in risposta a queste dichiarazioni Orlando ha invitato la magistratura a “ripensare se stessa”. Cosa che su questo fronte sarebbe auspicabile.
Source: freedamedia.it
PALERMO (ITALPRESS) – “Con la manovra 2025-2027 il governo stanzia maggiori risorse per il sistema sanitario, prosegue gli interventi a…
STOCCARDA (GERMANIA) (ITALPRESS) – “Nel dubbio ci aspettiamo ilmiglior Stoccarda. Abbiamo tutti ben presente le partite con laJuventus e con…