Se penso ai concetti più forti che ho assorbito durante l’adolescenza, uno di quelli che mi è rimasto più impresso è stato quello di “non aver rimpianti”. Ripetuto ossessivamente in moltissimi film e libri che leggevo il quel periodo, è stato l’imperativo categorico che ha mosso moltissime mie decisioni, compiute anche controvoglia ma solo per onorare il principio che non bisogna MAI lasciare nulla di intentato e che questa vita – specialmente per chi ha una tendenza a vivere male i cambiamenti come me – va presa a morsi; bisogna affondarci dentro – cercando di essere docili con i propri errori – per capire davvero quale sia la nostra direzione e diventare ciò che si è. Detta così, sembra implicito che anche gli insuccessi trovino un loro posto di diritto nel panorama delle nostre esperienze, ma non sempre funziona: è difficile non cominciare a fare un distinguo tra scelte “giuste” e “sbagliate”, e trasformare queste ultime, in rimpianti.
Ho cercato spesso, più o meno consapevolmente, di vivere in modo da non averne, adottando un atteggiamento spavaldo, brillante e anche forse un po’ arrogante (tipico di chi la parola rimpianto non sa neanche come si scrive): ma ora, da trentenne, guardo alle scelte del passato e vengo tormentata dall’idea di aver sbagliato irreparabilmente su più fronti, di aver perso tempo, di non essere stata all’altezza di ciò che mi prefiggevo – così chiaramente – fin da piccola: ma se ho avuto le idee sempre così chiare, com’è possibile che sono finita ad avere rimpianti?
Ed è qui che la mia riflessione ha incontrato quella dello scrittore Oliver Burkeman, che ha affrontato il tema in diversi articoli: leggendo le sue parole mi ha colpita un pensiero che sviluppa a partire da questa citazione del filosofo francese Henri Bergson, e mostra perché non dovremmo lasciarci tormentare dall’idea dei rimpianti:
Ciò che fa della speranza un piacere così intenso è che l’avvenire, di cui disponiamo a nostro piacere, ci appare nello stesso tempo in una moltitudine di forme, tutte sorridenti, tutte possibili. E se pure la più desiderata tra tutte si realizza, le altre andranno sacrificate e noi avremo perso molto.
Come spiega Bukerman “anche che se prendessimo sempre decisioni perfette, ci sta dicendo Bergson, la nostra vita sarebbe sempre un patetico fallimento rispetto a come abbiamo sognato che sarebbe potuta essere: i sogni sono “pregni di infinite possibilità”, mentre la vita è una sola.” Per lo scrittore, questo pensiero del filosofo diventa un modo per pensare ai rimpianti come qualcosa di inevitabile:
Potete smettere di tormentarvi al pensiero che forse un giorno vi pentirete di una certa scelta, perché sarà sicuramente così (a meno che non siate il tipo di persona che non ha mai rimpianti, nel qual caso non succederà). In un modo o nell’altro, cercare di evitare i rimpianti è inutile, voler sempre fare la cosa giusta significa non fare quasi mai nulla. Questo mi dà un inesprimibile sollievo.
“Voler sempre fare la cosa giusta significa non fare quasi mai nulla”: riflettendo su queste parole mi ritrovo a dover lottare con me stessa e con la tendenza di pormi perennemente sotto giudizio (dalle scelte del presente, a quello del passato), sempre intenta a passare in revisione la mia esistenza per cercare un’autonarrazione che mi soddisfi e mi possa far stare tranquilla – quella per cui, naturalmente, sono una persona perfettamente realizzata, in linea con i miei obiettivi e “inattaccabile“. La retorica del fallimento, dei rimpianti e dei rimorsi (da cui sento di essere stata molto influenzata specialmente in passato) ha avuto il pregio di aiutarmi a prendere delle decisioni, obbligandomi a pensare sempre con una certa prospettiva; ma ora sento che mi affossa e mi obbliga invece a cercare un senso agli eventi per cui alla fine risulto perfetta e sotto controllo. Ma tutto questo avviene senza che mi renda conto che così facendo ignoro tutto ciò che non rientra in questa visione: le esperienze dolorose, le cazzate gratuite che potevo evitarmi e tutto ciò che in maniera più sfrontata e violenta, mi ha insegnato qualcosa nella vita. Non c’è niente di sbagliato nel rimpianto, anzi; è un momento doloroso ma necessario di crescita e comprensione di se stessi. Forse, come diceva una mia insegnante di recitazione (nel tentativo di tagliare corto sulle nostre questioni esistenziali) bisogna pensare che “la decisione giusta è quella che prendi, né più, né meno”. Inoltre, come suggerisce lo scrittore – citando il filosofo Kieran Setiya – perdere energie mentali nel revisionare il proprio passato, pensando con dolore e nostalgia al tempo in cui le scelte sembravano illimitate può essere molto fuorviante:
È un errore farlo, perché anche allora le nostre possibilità erano decisamente limitate, e quasi tutti i nostri sogni erano destinati al fallimento, solo che non sapevamo quali. “Non è che ci sia stato un tempo in cui potevamo avere tutto, ma c’è stato un tempo in cui non avevamo ancora fatto scelte e dovuto affrontare sconfitte”.
Avere rimpianti fa parte della vita, ma può essere che con l’esperienza sia più facile affrontare le sfide del futuro: forse potremmo pensare in questa ottica alla nostra maturità invece di continuare ad alimentare il mito della nostra giovinezza (e delle occasioni perse) e torturarci coi rimpianti. Pensare che la vita sia imperfetta perché ha preso direzioni impreviste significa racchiudere quanto abbiamo di più prezioso in uno stereotipo stanco e vuoto. Forse il dolore più grande è doverci smentire sul fatto che, se non viviamo la realtà dei nostri sogni, è perché in fondo non si sono rivelati ciò che volevamo davvero: forse abbiamo cominciato a intravedere qualcos’altro, di un po’ più grande, al di là dei nostri desideri e delle nostre fantasie; forse abbiamo semplicemente cambiato idea, imparando che la vita ci si svela così, anche per vie oblique, facendoci rendere conto delle cose solo dopo che sono accadute.
Source: freedamedia.it
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