Source: lanuovaecologia.it
Nel rapporto Un green new deal per l’Europa. Idee e sfide per rilanciare il progetto europeo, presentato a Roma, Legambiente chiede all’Europa di avere il coraggio di prendere decisioni più incisive sul fronte delle politiche ambientali e, al contempo, di rilanciare sul piano dei diritti e sulle politiche di integrazione, smettendola di rincorrere chi punta su muri e respingimenti.
Non è dunque un problema di risorse ma di scelte secondo l’associazione ambientalista. L’Europa deve dunque scegliere di eliminare i sussidi alle fonti fossili (circa 200 miliardi di euro l’anno) e di cancellare i privilegi fiscali di cui godono le multinazionali. In parallelo, i suoi Stati membri possono integrare risorse proprie a quelle previste dal prossimo Quadro pluriennale (sino a 480 miliardi di euro per il periodo 2021- 2027 se si destina il 40% all’azione climatica) che rendono disponibili un pacchetto di investimenti pubblici sufficiente per iniziare a dare gambe ad un vero green new deal.
Si tratta di una direzione obbligata come dimostrano i dati di questi ultimi anni sintetizzati nel volume, che indicano anche i passi avanti fatti dall’Ue. Passi però compiuti troppo lentamente. L’Europa in questi anni è riuscita a disaccoppiare crescita economica (Pil) produzione di emissioni di gas serra, sono calate le emissioni mentre l’economia è riuscita a crescere. La percentuale delle popolazione occupata tra i 20 e i 64 anni è salita nel 2017 al 72,3% (dieci anni fa, nel 2007, era al 69,9%). La spesa nazionale lorda per ricerca e sviluppo nel 2017 ha raggiunto il 2,06%, (nel 2007 era all’1,77%). Investire su ricerca e sviluppo è fondamentale per un’economia competitiva e a zero emissioni. La produttività energetica nel 2016 è arrivata all’8,5, nel 1995 era al 5,8. Sul fronte delle politiche sociali, grazie ad un lavoro ad hoc è diminuita la popolazione a rischio povertà o esclusione sociale: nel 2017 è scesa al 22,4% ( nel 2007 toccava il 24,5%).
Tra le altre cose, in questi anni è cresciuta – anche se meno del previsto – la quota a riciclo di materia (dal 50% del 2010 al 53% del 2016 sul totale dei rifiuti esclusi i minerari). Nel settore energetico, si registra dal 2015 una ripresa dei consumi finali di energia – su cui per altro incidono le temperature stagionali – dopo un lungo trend di riduzione e contenimento. All’interno dei consumi energetici è cresciuta in modo sostanziale la quota da fonti rinnovabili che è arrivata al 17,4% nel 2017, rappresentando ormai l’85% della nuova produzione installata. Sul lungo periodo, la riduzione dei consumi energetici e l’aumento delle fonti rinnovabili hanno portato ad una riduzione delle emissioni di CO2, pari a una riduzione del 21,9% tra il 1990 e il 2017. Nel 2017 – per la prima volta da molti anni – si registra un incremento delle emissioni di CO2 pari allo 0,6% rispetto al 2016. Questo aumento segue un andamento relativamente stabile delle emissioni osservato dal 2014, dopo un periodo di riduzioni quasi continue tra il 2004 e il 2014.
In conclusione, la sfida che si prospetta per l’Ue dopo le prossime elezioni di fine maggio è quella di puntare prima di tutto su un’economia decarbonizzata e circolare, ridisegnando la fiscalità in chiave green (differenziando l’Iva, introducendo una carbon tax ed eliminando i sussidi alle fonti fossili) per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, accelerando nella transizione energetica e nelle politiche di adattamento al clima e rilanciando la cooperazione internazionale mettendo al centro il Mediterraneo e l’Africa in un progetto comune che vada oltre gli interessi dei singoli Stati e delle imprese. Ora è tempo di accelerare, per Legambiente l’Europa può ancora una volta fare da maestra.
Source: lanuovaecologia.it
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