Sono vegetariano da dieci anni e vegano da quasi uno, anche se ho qualche difficoltà a definirmi tale. Quando col mio ragazzo vado al ristorante, mi viene molto più facile chiedere se hanno qualcosa senza formaggio o se è possibile togliere l’uovo da quel certo piatto che lo prevederebbe, più che dichiararmi vegano. Ma non è sempre andata così.
Molti anni fa avevo già avuto una piccola fase vegan, ma all’epoca non avevo problemi ad autodefinirmi in pubblico. Anzi, mi faceva piacere. Nel frattempo sono cambiate alcune cose, soprattutto a livello sociale. Oggi evito di farlo perché credo che tutto il dibattito onnivori-vegetariani/vegani sia stato caricato in senso eccessivamente identitario. Essere vegani, almeno in certi ambienti, va di moda, e tutta la discussione, online e non, è diventata una contrapposizione tra etichette, utile più che altro per auto-rappresentarsi e spesso offendersi o deridersi reciprocamente. Questo non è un registro che mi interessa, anche perché è ben poco utile per le questioni che mi stanno a cuore.
Ma partiamo da qualche premessa fondamentale, ad esempio: chi sono davvero i vegani?
I vegani sono persone che ritengono che la sofferenza animale causata dall’uomo debba essere evitata ogniqualvolta sia possibile farlo e, di conseguenza, ritengono giusto adeguare la loro vita a questa presa di posizione primaria. Sono famosi per le loro scelte alimentari – niente carne né pesce (come i vegetariani), ma non mangiano neanche i derivati: latticini, uova, miele – ma in realtà il veganesimo è uno stile di vita e, in quanto tale, influenza anche altri ambiti della quotidianità (abbigliamento, cosmetici, prodotti per la casa ecc.). Il senso generale è quello di sostenere le aziende e i brand cruelty free, ovvero che quelli che producono prodotti e servizi senza causare sofferenza animale (ad esempio scegliendo marchi che non testano sugli animali).
È bene precisare che si può essere vegani in molti modi: molte persone vegane oltre a non consumare prodotti di origine animale sono anche molto attente alla salute. Dall’esterno questo confonde un po’ le acque ma in realtà un vegano di per sé non è uno che non mangia zucchero o glutine, o che fa una dieta ipocalorica. Se è vero che la comunità scientifica ha intravisto nel consumo di carne rossa e insaccati un pericolo per la salute, è assolutamente possibile essere vegani e mangiare in modo calorico e persino poco sano. Nell’immaginario collettivo invece il vegano è un fissato rompipalle che odia i piacere della tavola e che pretende quindi che tutti mangino insalata e bevano tisane. Qualche vegano così esisterà anche, ma tenete conto che si potrebbe essere vegani anche con una dieta a base di Coca-Cola e patatine (entrambi sono due alimenti perfettamente vegan).
Insomma, l’interminabile polemica tra chi mangia tutto e chi invece rivendica un’alimentazione rispettosa della vita animale è fondata su una serie di fraintendimenti e idiosincrasie. Spesso sembra un vero e proprio dialogo tra sordi, fatto più di antipatie e pregiudizi che di confronto reale e argomentato e voglia di capirsi. La si butta quasi sempre su gusti e preferenze individuali, si producono meme e gif sarcastiche, lasciando sullo sfondo il vero tema, che è quello del valore della vita degli animali. Un tema sul quale ognuno forse dovrebbe maturare una sua posizione, possibilmente un po’ ragionata, dato che per quanto l’uccisione degli animali sia una forma di sopraffazione antichissima e legittimata dalla tradizione, resta pur sempre una forma di sopraffazione. E quindi degna di essere discussa in senso morale.
Io penso dovrebbe esserci più rispetto, da una parte e dell’altra. Gli onnivori dovrebbero fare qualche passo in più per informarsi e rendersi conto che le prese di posizione dei vegani sono frutto di compassione autentica; i vegetariani/vegani dovrebbero capire invece che certi toni – quelli che hanno portato alla nascita di etichette come quella di “nazivegani” – sono controproducenti, perché alla fine rischiano di delegittimare il veganesimo stesso, consentendo ai critici di rappresentarlo come un’ideologia freak e violenta.
Ci sono aspetti della comunità vegan che percepisco distanti da me e trovo francamente anticipati, ma d’altra parte io vengo ogni volta devastato dalle immagini dei mattatoio e degli allevamenti intesivi. Per questo ho deciso di essere vegano ma di tenere allo stesso tempo ben presente il quadro generale: rispettare gli animali non può significare diventare asociali o perennemente giudicanti verso chi non ha fatto la nostra stessa scelta. La sensibilità e l’empatia non possono essere imposte a chi non ha attiva dentro di sé una certa ricettività. Capiscono benissimo da dove arriva l’impeto degli attivisti animalisti – così come capisco che il cinismo degli onnivori sia assai indisponente – ma se non ci ricordiamo di restare sul piano del dialogo, e non dello scontro, è molto facile che quella che dovrebbe essere una scelta essenzialmente a favore della non violenza porti al mondo invece ulteriore aggressività.
Mangiare la carne, il formaggio e le uova, è una cosa normale per molte persone. È una cosa che hanno sempre fatto, tendenzialmente da quando sono nati. Il cibo mette in discussione la nostra identità più basilare, le nostre appartenenze, le nostre origini. Le persone hanno reazioni molto violente quando si parla inizia a parlare di cucina e di alimentazione alternativa: entrano in gioco resistenze molto forti e ben poco razionali. Chiunque voglia sensibilizzare e modificare lo status quo deve tenerne conto.
Quello che sicuramente la comunità vegan può fare è rendere disponibili le informazioni che permettano di riempire quello spazio vuoto, quel gap che c’è tra animale vivo e preparazione culinaria. Il cibo ha una storia, non nasce al supermercato. La maggior parte delle persone non è abituata a interrogarsi su quello che mangia e questo, in qualsiasi modo la si pensi, è un aspetto della nostra cultura che forse è bene che cambi, dato che viviamo in un’epoca in cui comprendere come stanno le cose è a portata di clic.
Per tutti il consiglio in ogni caso è quello di informarsi, coltivare il senso critico e poi soprattutto darsi tempo. Ci sono molti modi per occuparsi e preoccuparsi della condizione animale anche se non si è vegetariani o vegani: lo si può fare ad esempio favorendo quei prodotti che arrivano da allevamenti all’aperto, riducendo il consumo di carne e derivati animali, ma lo si può fare anche semplicemente interrogandosi sulle contraddizione e sulle zone d’ombra del nostro sentire, quelle che per esempio ci permettono di accudire e amare cani e gatti per poi girarci dall’altra parte a mordere un panino al prosciutto.
Non essere sensibili a qualcosa solo perché non la si conosce converrete con me che è un livello di consapevolezza un po’ basso.
Source: freedamedia.it
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