Ascoltiamoci questo pezzo per entrare nel vivo di uno degli interrogativi più antichi di sempre: che cos’è l’amore?
Artisti di ogni tempo (e non solo) hanno provato a immaginarlo, a raccontarlo, ma ancora questo sentimento sfugge a una definizione esaustiva. La tematica è affascinante ma spaventosa al tempo stesso: se non lo sappiamo definire, vuol dire che non sappiamo realmente che cos’è? Non avere il vocabolario sufficiente a esprimerlo significa non aver avuto abbastanza esperienza – oppure la giusta, esperienza?
Presto o tardi, può essere che molti di noi si siano imbattuti in domande analoghe, riscontrando una difficoltà non solo a spiegarlo a se stessi (ma amo davvero il mio partner o no?) ma anche agli altri. E in questo processo, è possibile che si siano cercate le risposte in uno sviluppo preciso del sentimento, proposto dalla nostra società: se si ama qualcuno vuol dire che si vuol sempre stare insieme, che si deve condividere tutto, che si sta sempre appiccicati, si fa sesso sempre, ci si dà nomignoli strani, “si è una cosa sola” e cose di questo tipo. Se non ci si ritrova in questa forma, così come ci è stata insegnata, raccontata e mostrata in tutte le salse, si può arrivare a pensare che quello che stiamo vivendo non è amore – oppure è un amore insolito, strano, fuori dal normale. Ma è davvero così? Esiste davvero soltanto un unico modo di amare – e di conseguenza, una sola parola per definirlo?
A questo interrogativo ha provato a rispondere Alain De Botton, raccontando nel video Tre alternative alla parola amore, la sua personale visione sulle forme dell’amore: e se ne esistessero di diverse e ci mancasse qualche definizione in più per ampliare il nostro vocabolario, anziché ridurlo o adeguarlo a un unico termine, un po’ abusato e stantìo, che non rende giustizia alla complessità reale del sentimento?
Abbiamo creato un culto dell’amore molto lontano dalle nostre esperienze reali. (…) Ma ci sono diversi tipi di amore, ognuno con le sue stagioni e le sue virtù. Una buona società deve applicare il giusto vocabolario ai diversi stati del cuore, legittimando ognuno di essi.
All’interno della coppia, ad esempio, non c’è spazio solo per l’amore passionale, ma per diversi “stati del cuore” che dovrebbero trovare la propria legittimità nei nostri discorsi. Questo mi porta immediatamente a pensare a quando mia nonna mi raccontava l’amore, sottolineando come fosse un sentimento che cambia, si trasforma – e a me la cosa non suonava particolarmente romantica: pensavo che fosse un modo carino per dire che si esauriva o che diventava meno interessante. E invece forse non aveva torto.
Per spiegare meglio il suo pensiero, De Botton si affida agli antichi greci, che già avevano individuato tre tipi di diversi di amore. La potente attrazione fisica che spesso si vive all’inizio di una relazione era denominata eros ma i greci “sapevano bene che l’amore non finisce per forza quando cala l’intensità sessuale” e si affidano dunque a un’altra parola per descrivere lo sviluppo di queste emozioni passionali in un altro genere di amore: philia.
Sappiamo che la traduzione solita per la parola è amicizia, ma in realtà questo termine racconta di un sentimento molto più intenso di quello che potremmo intendere noi con il nostro corrispettivo italiano, e che comprende i concetti di affinità e lealtà. De Botton racconta come Aristotele consigliasse di superare la fase dell’eros e fondare le proprie relazioni – specialmente il matrimonio – sulla filia. Si parla dunque sempre del concetto di amore, ma in queste parole trova nuove possibilità e sfumature: come nella terza accezione che ci viene suggerita, agape, usata solitamente per indicare “l’amore caritatevole” o compassione. È quel sentimento che si attiva quando amiamo qualcuno per i suoi difetti e per le imperfezioni, anziché per le sue qualità – e che possiamo riconoscere anche nelle nostre relazioni sentimentali.
Saggiamente gli antichi greci avevano diviso il concetto monolitico dell’amore nelle parti che lo compongono.
A cosa potrebbero servire, dunque queste tre parole? Forse suonerebbe strano introdurle nel nostro linguaggio quotidiano, ma di certo potrebbero aiutarci a pensare che c’è molto più amore nelle nostre vite, di quello che il nostro vocabolario ci suggerisce con l’unica parola “amore“; e che all’interno della nostra stessa relazione si possono incastrare modi di amare diversi, tutti legittimi e reali. Forse quando la parola non basta più a descrivere il nostro sentimento, non significa che questo si sia esaurito, ma che sta cominciando qualcosa di nuovo. Se volessimo utilizzare questa riflessione per rispondere al quesito sull’amore, potremmo dire che è una creatura che ci trasforma e si trasforma, vive stagioni e momenti sempre diversi e che naturalmente sfugge a una definizione. E dunque, se davvero non basta per raccontarlo, perché non affidarci ad altri termini e provare ad ampliare il nostro vocabolario emotivo? Conoscere parole diverse (in questo caso non “nuove”, ma parecchio antiche) può insegnarci a essere più curiosi rispetto alle forme che può assumere il sentimento – oppure a riconoscere quelle altrui – e darci un po’ di sollievo nel pensare a un modo molteplice e libero, di intendere quel mistero chiamato amore.
Source: freedamedia.it