Sotto molti punti di vista quello relativo alla salute mentale è ancora un grande tabù. Ci comportiamo in modo strano: o neghiamo l’esistenza dei problemi che riguardano la nostra psiche, minimizzandoli, o li contempliamo solo nella loro forma più grave ed evidente, quando ormai sono difficili da arginare. Accade soprattutto perché abbiamo paura che “possa succedere anche a noi”, e per esorcizzare questa paura cerchiamo di tenere tutto sotto controllo, di etichettare ogni cosa, di vivere seguendo una linea retta, e di sentirci felici ogni volta che raggiungiamo una nuova tappa, perché è questo che gli altri si aspettano da noi.
L’unico modo per contrastare i grandi tabù è informarsi, e informandosi sulla salute mentale si scopre subito che ci sono situazioni molto comuni in cui qualcosa dentro di noi può rompersi. È un pensiero difficile da digerire, perché significa ammettere che può davvero succedere a chiunque. E infatti è così, ma saperlo è il primo passo per prevenire il problema o, più semplicemente, per non sentirci strani se dovesse capitare a noi. Tra le situazioni comuni che più impattano sulla salute mentale femminile, ad esempio, c’è quella delle relazioni sentimentali. Non tutte, ovviamente. Ma alcuni rapporti possono diventare violenti, non “solo” da un punto di vista fisico. Spesso è sul piano psicologico che si possono provocare più danni. Manipolazioni, relazioni ambigue, dinamiche disfunzionali che si instaurano tra partner, sono dei fenomeni tossici, rischiosi per il nostro equilibrio, che sopportiamo perché di base soffriamo, senza saperlo, di una dipendenza che è stata a lungo misconosciuta, e che oggi inizia invece a essere trattata alla stregua delle altre dipendenze: la dipendenza affettiva.
Abbiamo deciso di parlare di questo tema con le psicologhe di Mama Chat, una chat online, completamente gratuita, che offre supporto psicosociale alle donne in difficoltà da situazioni di maltrattamento di vario genere, maternità fragili, esclusione sociale, salute psicologica e mentale.
D: Quello delle relazioni sentimentali è un terreno molto complicato da attraversare. Parliamo di rapporti personali, che ognuno vive a proprio modo. Eppure, nonostante questa base soggettiva, sappiamo che esistono relazioni sane e relazioni disfunzionali, e i numerosi casi di violenza che costellano la cronaca degli ultimi anni ci fanno capire che è importante avere gli strumenti per distinguerle. Cosa rende una relazione sana?
R: Quello delle relazioni sentimentali è un terreno sicuramente complesso e delicato: basti pensare a come sia significativo per ognuno di noi reputarsi soddisfatto, felice, triste, angosciato, rispetto alla propria situazione amorosa. È importante saper distinguere una relazione sana da una malsana: innumerevoli sfumature disfunzionali possono infatti entrare in atto implicando esperienze dolorose e a vario grado traumatiche, anche se non implicano violenza e maltrattamenti conclamati.
Ecco perché bisogna coltivare gli strumenti idonei per distinguere questo tipo di relazioni dalle relazioni sane, che pure non sono scevre da aspetti problematici e conflittuali, ma gestibili in modo costruttivo all’interno della coppia.
Fin dalle prime esperienze é fondamentale imparare ad ascoltarsi: riconoscere le proprie sensazioni ed emozioni, saper individuare i propri bisogni e i propri campanelli d’allarme, prestando attenzione al proprio spirito di sopravvivenza, perché è un elemento che può salvarci più di quanto possiamo immaginare. Bisogna fidarsi delle proprie percezioni, e soprattutto parlarne con persone di fiducia, per non isolarsi troppo e poi non sapere come chiedere aiuto.
Un campanello d’allarme abbastanza ‘universale’ di una relazione ‘malsana’, sotto il profilo di un eccesso di dipendenza affettiva, consiste nella difficoltà a riconoscere i propri bisogni, e nella tendenza estrema a subordinarli sempre e rigidamente a quelli del partner. Premesso che un certo livello di interdipendenza nelle relazioni é fisiologico, va tenuto presente che le dipendenze trovano terreno fertile nella scarsa fiducia in se stessi.
Quando si è innamorati si tende ad essere sopraffatti dalle emozioni che ci suscita l’altro, dalla scoperta di questa nuova persona nella nostra vita; per non parlare delle sollecitazioni a livello neuronale e ormonale, che contribuiscono alla fase di innamoramento e che possono offuscare il nostro senso del giudizio – ed è difficile essere lucidi, ragione per cui spesso questi segnali sono impossibili da individuare.
È normale, soprattutto nella fase iniziale di una relazione. Quando però questo senso di offuscamento perdura rigidamente nel tempo, arrivando a far considerare l’altro in qualche modo ‘superiore’ a se stessi e unica fonte del proprio benessere, é opportuno interrogarsi sulla cosa, individuandola come segnale da non trascurare.
Particolarmente pericoloso il caso in cui l’altro, come molto spesso accade nelle relazioni disfunzionali, sia un partner manipolatore e narcisista, o dominante, il cui bisogno é quello di avere conferma di un proprio desiderato, ma anche incerto, senso di potenza, che cerca di ricavare percependo l’alta persona come sottomessa e controllata.
Questa tipologia di partner, per via dei traumi e vissuti passati, é più incline a diventare a sua volta maltrattante anche quando non mostra segni evidenti di tale personalità e inclinazione all’inizio della relazione.
La relazione sana consiste invece in un rapporto in cui entrambi i partner promuovono un legame sicuro, caratterizzato da fiducia reciproca, riconoscimento delle qualità di entrambi e rispetto degli spazi, delle differenze, delle idee e della vita dell’altro. Una relazione in cui il dialogo è lo strumento principale di condivisione delle proprie esperienze, pensieri ed emozioni e conoscenza dell’altro. E dove eventuali dissensi possano venire risolti mantenendo il rispetto reciproco.
D: E quando, invece, una relazione è disfunzionale? Una relazione disfunzionale è sempre abusiva?
R: Una relazione può risultare disfunzionale per vari motivi, che implicano diversi gradi di insoddisfazione rispetto al rapporto, per uno o per entrambi i partner.
In generale, possiamo dire che una relazione è disfunzionale quando manca la libertà di condivisione, crescita personale reciproca, dialogo, motivazione e rispetto degli spazi individuali. In questi casi spesso la fiducia lascia il posto al sospetto, che provoca ansia, insicurezza, paura del giudizio e mancanza di dialogo.
Una relazione può essere disfunzionale anche se non c’è abuso psicologico o violenza fisica. È vero, però, che nel caso specifico delle situazioni di dipendenza affettiva, le relazioni si prestano molto facilmente a una dinamica di abuso, laddove per abuso si intende il realizzarsi di una situazione in cui una persona sfrutta la sua posizione di potere o di superiorità (effettiva o semplicemente attribuita dall’altra persona) per tenere sotto controllo il comportamento dell’altro, e adeguarlo alle sue necessità.
D: Che tipo di conseguenze psicologiche può avere una relazione disfunzionale?
Nel caso di relazioni genericamente disfunzionali la problematicità psicologica può tendenzialmente costituire anche causa e non solo effetto: dinamiche affettive distorte vissute nel passato, anche lontano, possono condurre la persona a ritrovarsi in analoghe dinamiche in età adulta.
Nel caso invece di relazioni abusanti, che pure possono avere a monte problematiche analoghe a quelle sopra descritte – ma non sempre e non necessariamente – spesso chi le subisce sviluppa disturbi d’ansia, psicosomatici, come problemi gastrointestinali o del sonno, fino ad arrivare anche a disturbi dell’umore e a episodi depressivi. Inoltre, possono emergere pensieri o immagini di sé distorte, caratterizzate da bassa autostima, senso di colpa, paura del giudizio e insicurezza.
Quando queste manifestazioni compaiono, al di là dei pregressi, si è in presenza di una relazione francamente abusante, e cioé violenta, quantomeno dal punto di vista psicologico. I segnali di cui preoccuparsi, oltre a quelli dati dai sintomi descritti, consistono in uno stato di paura pressoché costante nei confronti del partner (a volte celata da uno scrupolo eccessivo nel volerlo compiacere), da un continuo bisogno di chiedergli il permesso per le proprie azioni e conferma del proprio valore, e da pervasivi sensi di inadeguatezza e di colpa.
D: Chi vive una relazione disfunzionale se ne rende conto, eppure non riesce a uscirne. Si parla a questo proposito di dipendenza affettiva: che cos’è? È una dinamica che riguarda solo le relazioni sentimentali o anche altri tipi di relazioni sociali?
R: La dipendenza affettiva è un vero e proprio disturbo, recentemente accostato alla categoria delle dipendenze comportamentali, come quelle da sostanze, alcool, cibo e gioco d’azzardo.
È una modalità a vari livelli ‘patologica’ di vivere la relazione: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni, e a rinunciare al suo spazio vitale, pur di non perdere il partner, considerato unica fonte di gratificazione, amore e cura. Anche se la persona dipendente non è affatto gratificata dal partner, ma anzi patisce, è insoddisfatta e consapevole dei problemi della relazione, non riesce a farne a meno. Anzi, soffre di vere e proprie crisi di astinenza in assenza del partner. C’è un drastico calo di attività individuali, sia professionali che di svago, e un bisogno compulsivo del propri* compagn*. È una dinamica che, magari con manifestazioni meno plateali, può riguardare anche altri tipi di relazioni, come per esempio quella con la madre o altre figure familiari, senza la quale l’individuo è incapace di costruire una sua individualità e crescita personale/professionale, oltre che relazioni sentimentali sane. Altri esempi possono essere relativi ad amicizie caratterizzate da significative valenze di sottomissione.
D: Chi vede le cose da un punto di vista esterno è spesso portato a notare i segnali di una relazione disfunzionale: cosa si può fare per aiutare chi ne è coinvolto senza invadere la sua vita privata?
R: Quando ci si accorge che una persona cara sta vivendo una relazione disfunzionale, che nuoce alla sua salute e ai suoi rapporti con gli altri, è fondamentale ascoltare in modo empatico senza colpevolizzarla, e senza giudicarla in modo negativo. Può capitare che la persona a noi cara sia vittima di violenza fisica o psicologica da parte del partner, in questi casi è difficile capire immediatamente come comportarsi. La violenza subita suscita, in chi non è la vittima diretta, dei sentimenti contrastanti: potremmo stentare a credere a ciò che ci viene raccontato, potremmo sentirci molto arrabbiati e tentare così di intervenire istintivamente andando anche incontro alla frustrazione nel notare che gli aiuti che offriamo non vengono colti come desidereremmo.
Da fuori potrebbe sembrare facile e scontata l’idea di abbandonare tutto e cominciare una nuova vita, ma la realtà che vive la persona che soffre appare soffocante e senza soluzioni possibili. Chi cerca di aiutare un proprio caro ad uscire da una relazione disfunzionale può trovarsi a provare dolore, rabbia, impotenza e scoraggiamento. Per questo è importante considerare che ciascuno di noi ha bisogno di tempo per decidere come agire di fronte a situazioni che sembrano non avere una via d’uscita. Inoltre, chi è vittima di violenza fa molta fatica ad aprirsi e a raccontare ciò che subisce perché prova vergogna, paura, perché teme di non essere creduto o si sente in parte responsabile. Non esistono perciò soluzioni semplici e definitive, ma occorre prestare attenzione ai segnali di sofferenza e ascoltare apertamente la persona cara senza dare consigli su ciò che deve fare o forzare una separazione. Documentarsi sull’argomento della dipendenza affettiva e sulla violenza domestica chiamando un centro antiviolenza specializzato o scrivendo a Mama Chat può aiutare chi è vicino ad una persona cara che soffre a capire come agire.
D: All’interno di una coppia è possibile che uno dei due partner riconosca una dipendenza affettiva nell’altro? E se sì, cosa si può fare?
R: La relazione di coppia è come una danza a due, ed è importante che ciascuno dei partner riconosca il suo pezzettino di responsabilità per una situazione che si è co-costruita nel tempo. Spesso chi ha una dipendenza affettiva sceglie partner con altri tipi di dipendenze o con altre problematiche che gli consentano così di mettere da parte i propri bisogni per dedicarsi completamente all’altro, nella speranza di non essere lasciati o di essere un giorno ricambiati.
La relazione tossica mantiene così caratteristiche stabili grazie ai comportamenti di entrambi i partner che contribuiscono al perpetuarsi di malessere fisico e psicologico. È fondamentale perciò sviluppare un ascolto empatico nella coppia. Può sembrare un passo facile, ma richiede molto allenamento riuscire a capire cosa prova il partner, le sue paure e incertezze, ascoltare riconoscendo e mettendo da parte i propri pregiudizi e le proprie convinzioni. La presa di consapevolezza e la comunicazione sono i primi passi per decidere di farsi aiutare da psicologi e psicoterapeuti con cui scoprire da dove ha origine la tremenda paura dell’abbandono e della solitudine. I partner potrebbero anche iniziare una terapia di coppia per capire in che modo hanno dato vita a una relazione non più felice ed appagante.
D: Si stima che la dipendenza affettiva riguardi, nel 99% dei casi, le donne. Potremmo dire che si tratta di una sorta di fenomeno di genere. Ma questa prevalenza femminile è davvero reale o è culturale? Perché le donne dovrebbero esserne più colpite rispetto agli uomini?
R: Premesso che questo dato che circola non é chiaro da quali effettivi studi statistici provenga, crediamo che possa forse almeno in parte riflettere una chiave di interpretazione che é essa stessa frutto di pregiudizi “culturali”, il che non necessariamente significa che non trovi una corrispondenza anche nei dati “reali”.
L’essenza della dipendenza affettiva potrebbe in parte trovare un’assonanza tra certi uomini e certe donne, per il suo essere mossa, in entrambi i casi, da profondi sensi di inadeguatezza e insicurezze che cercano rimedio e compensazione tramite conferme più o meno distorte da parte dell’altra persona. Le sue manifestazioni comportamentali, invece, non lasciano margine ad alcun dubbio su chi sia la vittima e chi l’aggressore, e questo deve essere estremamente chiaro. Quando si verificano comportamenti che, a vari livelli di violenza, sia psicologica che fisica, ledono l’altra persona, la vittima è la persona lesa, a prescindere dalle possibili cause remote che abbiano mosso i comportamenti dell’aggressore.
Quando si parla di dipendenza affettiva si fa spesso riferimento alle donne in quanto si pensa siano più fragili rispetto agli uomini, che debbano compiacerli ed essere sempre all’altezza delle loro aspettative e richieste. È come se, per avere un buon livello di autostima, avessimo tendenzialmente bisogno di qualcuno che ci faccia sentire amate e considerate e pensassimo che senza questa persona la nostra vita non avrebbe senso. Molti di questi pensieri vengono acquisiti fin dai primi anni di vita (e così era specialmente nel passato ed è in culture in cui ancora alle donne è riconosciuto un basso grado di emancipazione), osservando le nostre madri e il modello di femminilità tramandato di generazione in generazione. Attraverso le relazioni dipendenti cerchiamo quindi di colmare un vuoto emotivo interno, lascito di una carenza di relazioni affettive dell’infanzia, invece di promuovere la crescita personale, tramite l’amore incondizionato e l’incoraggiamento all’autonomia.
Si può considerare la versione “femminile” della dipendenza affettiva come un fenomeno che attraversa le culture maggiormente maschiliste in cui le donne sono considerate passive, docili e remissive. Sono culture che enfatizzano qualità della donna quali lo spirito di adattamento e la dedizione all’altro, mentre scoraggiano qualità come l’indipendenza, l’autonomia e l’impulsività, perché considerate prettamente maschili. Tuttavia, la dipendenza affettiva è un fenomeno che riguarda anche gli uomini, ma è più nascosto, se ne parla poco, perché culturalmente l’uomo cerca di controllare le emozioni e gli affetti per necessità di apparire forte e padrone di sé.
La dipendenza affettiva ‘maschile’ si può manifestare anche con modalità diverse – non sempre, però – più aggressive. Anche questo ha origine, più che dal contesto culturale in cui viviamo, dal rapporto con le proprie madri che, se troppo soffocante o eccessivamente carente d’affetto, induce scarsa autostima e fa sentire l’uomo impotente e incapace di prendere decisioni in modo autonomo.
D: Chi riconosce nei propri comportamenti i segni della dipendenza affettiva cosa può fare? A chi ci si deve rivolgere per chiedere aiuto?
R: Confrontandoci con amici e parenti, e guardando alle tipologie di relazioni che abbiamo costruito negli anni, possiamo arrivare alla consapevolezza di aver sviluppato delle dipendenze affettive che ci hanno causato dolore, paure e scarsa fiducia nel futuro. È importante riconoscere di aver bisogno di una mano nel ripercorrere le tappe che ci hanno portato a questo punto per poi sbrogliare quei nodi sviluppatisi in passato e poter costruire delle relazioni sane. Quando ci si ritrova in una relazione caratterizzata da abusi e violenza fisica o psicologica è fondamentale trovare le forze per chiedere aiuto ad un centro antiviolenza che saprà dare informazioni utili e ascolto in assoluta riservatezza. Rivolgersi a uno psicoterapeuta può portare a compiere un percorso verso la consapevolezza e il cambiamento. Un percorso che può aiutarci a costruire un solido rapporto con noi stessi liberandoci innanzitutto dalla paura dell’abbandono e portandoci poi ad avere più fiducia nell’altro. Infine, anche se non è facile, è importante lavorare per sviluppare quella forma di empatia, amore e tenerezza verso noi stessi, che abbiamo prima cercato nell’altro, e che ci permetteranno di diventare capaci di amarci, rispettarci e renderci soddisfatti.
Source: freedamedia.it
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