Puerto Escondido, Parigi, Copacabana: Cesare Battisti, una vita in fuga dalla giustizia – di Ilaria Paoletti
Roma, 13 gen – Cesare Battisti è un terrorista che ha fatto della fuga il suo stile di vita. La prima evasione risale al 4 luglio 1981 quando scappa dal carcere di Frosinone (dove avrebbe dovuto scontare una condanna a dodici anni per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata) e riesce a fuggire in Francia: lascia il carcere grazie all’aiuto di due “amici” travestiti da Carabinieri.
A Parigi vive per quasi un anno da clandestino e, mentre in Italia le sentenze di condanna per pluriomicidio vengono man mano confermate dalla Corte d’Appello e dalla Cassazione, lui trova il tempo per fondare una rivista culturale – Via Libre è il nome – assieme ad altri intellettuali.
A fine anno però prende di nuovo il volo: stavolta verso il Messico. E si stabilisce nientemeno che a Puerto Escondido. Qui, anche grazie all’appoggio di alcuni artisti del luogo, decide di dedicarsi alla scrittura definitivamente.
Ma è in Francia che Battisti sente di avere una vera e propria seconda vita: nel 1990 ritorna nella repubblica cisalpina grazie, soprattutto, alla garanzia di incolumità donatagli dalla “Dottrina Mitterrand” che si basava sul principio di non estradabilità dei latitanti per motivi politici.
Inoltre, a parere della giustizia francese, le prove a carico di Battisti non sarebbero state sufficienti tanto che definì i processi italiani “degni di una dittatura militare”.
Nel 1991, infatti, viene arrestato ma rimane ben poco in carcere: ad aprile le autorità di Parigi lo dichiarano non estradabile. Anzi: Battisti viene addirittura naturalizzato cittadino francese.
Ma il 10 febbraio 2004 Battisti viene nuovamente arrestato a Parigi, accusato di aver litigato con un vicino di casa. L’aria è cambiata: tra Francia ed Italia vige ora il “patto Castelli-Perben” dal 2002.
Questo accordo tra i ministri italiani e francesi prevede che per reati commessi prima del 1982 l’estradizione è sì limitata ma solo per i “casi di eccezionale gravità”. Ora Battisti si vede ritirare la naturalizzazione e non ha un passaporto francese.
La giustizia italiana domanda ancora a gran voce la sua estradizione e trovo d’accordo le autorità francesi che ne autorizzano l’arresto: ma Battisti, di nuovo, si è trasformato in fantasma.
Dopo aver tentato inutilmente di raggiungere l’Africa via mare su una barca attraverso appoggi in Corsica, il terrorista rosso fa marcia indietro: riesce a raggiungere il Sudamerica, e quindi il Brasile.
Nel 2006 un ulteriore ricorso dei legali di Battisti, questa volta addirittura alla Corte europea dei diritti dell’uomo viene dichiarato all’unanimità inammissibile.
L’ex militante dei Proletari armati per il Comunismo viene ancora tratto in arresto: questa volta a Copacabana il 18 marzo 2007.
L’operazione è frutto dell’unione degli intenti della polizia francese e dei Carabinieri. Ma, ancora una volta, gli sforzi delle forze dell’ordine vengono vanificati: il 13 gennaio 2009 il ministro della Giustizia carioca Tarso Genro concede a Cesare Battisti lo status di rifugiato politico basandosi sul timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche.
Il Tribunale supremo federale non rilascia Battisti in libertà: contesta la decisione del Ministro Genro. Il terrorista-scrittore è infatti entrato in Brasile irregolarmente, dotato di un documento falso. Ma, di nuovo, niente estradizione.
Antonio Fernando de Souza, Procuratore generale di Brasilia, già nel 2008 si é espresso a favore dell’estradizione ma ha comunque dichiarato legittima la decisione del governo brasiliano di Lula: ha quindi chiesto l’archiviazione del processo per Cesare Battisti.
Il 31 dicembre 2010 Lula conferma la decisione di non estradare Battisti in Italia e dice addio alla presidenza brasiliana con un ultimo gesto: l’azione finale del proprio mandato è quella che concede al terrorista rosso il visto permanente in Brasile.
Negli anni Battisti sposa una cittadina brasiliana e concepisce con lei un figlio: questo non fa altro che aiutarlo nell’opporsi ai vari tentativi della giustizia brasiliana di arrivare all’espulsione.
Il fatto di essere padre di un minorenne va ad aggiungersi alla lista dei “pro” che, nell’ingarbugliata e malgestita storia giudiziaria di Battisti in Brasile, ne impediscono sia la carcerazione definitiva – viene così annullato anche un arresto del 2015 – che il suo collocamento in Italia.
Il 4 ottobre 2017 Cesare Battisti si trova a Corumbá, nel Mato Grosso do Sul, al confine tra Brasile e Bolivia.
Durante un normale controllo della Polizia Stradale Federale viene arrestato mentre tenta di attraversare la frontiera insieme a due complici. Viene rilasciato appena tre giorni dopo: l’unica condanna è quella di recarsi mensilmente a San Paolo in tribunale.
Aprile 2018: in Brasile l’aria pare decisamente cambiare. E non per il meglio, almeno per Cesare Battisti. Lui e l’ex moglie Joice Lima si vedono revocare il passaporto e vengono sottoposti a misure restrittive per aver usato documenti falsi per contrarre matrimonio.
Il candidato alla presidenza Jair Bolsonaro ad ottobre promette che, una volta eletto, procederà alla consegna alle autorità italiane dell’ex Pac.
Il 14 dicembre l’Alta Corte di giustizia brasiliana ordina l’arresto dell’ex terrorista: secondo le ragioni del mandato emesso dal magistrato Luiz Fux, vi sarebbe un concreto pericolo di fuga del criminale italiano.
Il presidente brasiliano Temer, ancora in carica, ne ordina dunque l’estradizione: ed è a questo punto che, per l’ennesima volta nella sua vita, Cesare Battisti si rende latitante.
Sino ad oggi. L’ennesimo arresto. Con una speranza: che non sia l’ennesima fuga. Fonte: IL PRIMATO NAZIONALE
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