A due anni da quando è stato freddato in pieno centro a Mosca, con quattro colpi di pistola alla schiena, l’omicidio dell’ex vice premier e oppositore Boris Nemtsov è ancora un caso irrisolto: il presunto killer è in cella, ma non il mandante, e in molti temono che questo potrebbe non essere mai identificato. Nemtsov aveva 55 anni quando è stato ucciso, mentre passeggiava in pieno centro dopo essere uscito da un ristorante con la giovane modella ucraina Anna Duritskayaucraine, che frequentava in quel periodo. Si è trattato dell’omicidio politico di più alto profilo in Russia, da quando Vladimir Putin è salito al potere nel 2000. Il presidente russo ha subito definito l’assassinio “mostruoso”, ha parlato di “provocazione” e ha assicurato sarebbe stato fatto “tutto il possibile” perché gli organizzatori e autori di questo vile e cinico omicidio venissero puniti.
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Al momento, il processo Nemtsov – che si svolge al tribunale militare distrettuale di Mosca – vede sul banco degli imputati cinque ceceni: Zaur Dadayev, i fratelli Anzor e Shadid Gubashev, Temirlan Eskerhanov e Khamzat Bakhaev. Dadayev, ex vice capo del battaglione di forze speciali Sever, fedeli al leader ceceno Ramzan Kadyrov, è accusato di essere l’esecutore materiale. Un altro sospettato, Beslan Shavanov, anche lui membro del Sever, si è invece suicidato prima di essere arrestato a Grozny, accerchiato dalla polizia.
Secondo la versione ufficiale, l’organizzatore dell’assassinio è Ruslan Mukhutdinov, ora latitante all’estero e anche lui in servizio al Sever. Secondo Vadim Prokhorov, avvocato della famiglia Nemtsov, Mukhudinov era l’autista di Ruslan Gheremeev, imparentato a sua volta col braccio destro di Kadyrov, Adam Delimkhanov (deputato del partito di governo Russia Unita), fratello del comandante del Sever, Alibekh Delimkhanov. Il commando avrebbero agito dietro pagamento di 15 milioni di rubli (quasi 250 milioni di euro, al cambio di oggi).
La richiesta dei legali dei Nemtsov di interrogare Adam Delimkhanov e lo stesso Kadyrov è stata respinta dai giudici. Il controverso leader della Cecenia ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella morte di Nemtsov, ma non ha mai smesso di intimidire in diverso modo gli esponenti di spicco dell’opposizione: da Mikhail Kasyanov a Ilya Yashin, entrambi collaboratori di Nemtsov nel partito Parnas. Yashin ha accusato più volte Kadyrov di rappresentare, con i suoi metodi brutali e le sue milizie personali, una vera “minaccia alla sicurezza nazionale” della Russia.
Il mondo dell’opposizione russa non ha dubbi che l’omicidio abbia radici “politiche”, nate dalla dura condanna di Nemtsov per l’ingerenza russa in Ucraina. Poche ore prima di essere ucciso, l’ex vice premier aveva rilasciato un’intervista in cui chiedeva la fine del conflitto in Donbas: nei 45 minuti della diretta su Radio Echo, aveva ripetuto che anche l’allora gravissima crisi economica russa fosse il frutto della “folle politica” di Putin in Ucraina. Nelle settimane prima della sua tragica morte, aveva detto di temere per la sua incolumità proprio a causa delle sue dichiarazioni sul conflitto in Ucraina.
Nel secondo anniversario dell’assassinio, in Russia un documentario che sta avendo un buon successo di pubblico nelle poche sale dove è proiettato nel paese, sta portando l’attenzione più sulla vita che sulla morte dell’ex vice premier di Boris Eltsin, diventato fiero oppositore del Cremlino. Il film, “Un uomo troppo libero”, uscito il 23 febbraio in Russia, ha fatto il tutto esaurito tra Mosca e Nizhny Novgorod, città natale di Nemtsov. Nella pellicola si ripercorre la carriera dell’ex giovane governatore della regione industriale di Nizhny Novgorod – a 400 km a est di Mosca – arrivato a ricoprire il ruolo di vice primo ministro nella turbolenta epoca di Boris Elstin, a fine anni ’90.
Affascinante, giovane e carismatico, Nemtsov è diventato presto un nome familiare ai russi, che però ormai lo associano in modo inestricabile al periodo di instabilità politica ed economica che ha visto il suo culmine nel default del 1998, quando la popolazione ha visto volatilizzarsi gran parte dei propri risparmi. “Un’epoca ha un volto e lui ha incarnato tutto questo“, dichiara nel documentario il leader dell’opposizione di piazza russa Aleksei Navalny, che con Nemtsov ha condiviso il palco nelle proteste del 2012 per elezioni libere e contro il ritorno di Vladimir Putin al Cremlino. Dopo aver inizialmente appoggiato Eltsin nell’idea di affidare proprio a Putin, ex agente del Kgb, la sua eredità, Nemtsov è rimasto deluso dal nuovo leader russo e soprattutto dalla sua risposta alla tragedia del sottomarino nucleare Kursk, affondato con il suo equipaggio nel 2000 e alla strage del teatro Dubrovka, nel 2002.
Nel film, l’oligarca Mikhail Prokhorov definisce Nemtsov come un attivista per i diritti umani, più che un politico, perché diceva sempre quello che pensava. “Non era un animale politico – concorda Vera Krichevskaya, regista della pellicola – seguiva costantemente i suoi principi”. Quando l’opposizione si è ritrovata fuori dalla politica mainstream, Nemtsov ha iniziato a scendere in piazza; è stato arrestato più volte durante diverse proteste, ha scritto libri e rapporti che denunciavano la corruzione del sistema ed è riuscito a farsi eleggere deputato al parlamento regionale di Yaroslav. Il documentario non ha potuto, però, prescindere dalla tragica fine di questo politico. Ed è l’ex magnate della Yukos, Mikhail Khodorkovsky, diventato il nemico numero uno di Putin e che ha scontato 10 anni di carcere, a dare il suo giudizio a riguardo: “Io penso che Boris avrebbe voluto morire proprio così”, in pubblico e con un proiettile in corpo.
Source: agi.it/estero
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