Qualche mese fa un rinomato programma della televisione spagnola ha aperto la sua sessione mattutina con una serie di volti rammaricati, espressioni di rettitudine ed indignazione e sguardi perplessi e spaventati. Nadia, una bambina malata che lo scorso anno era stata ospite di innumerevoli palinsesti televisivi spagnoli, si è rivelata essere la messa in scena di una truffa.
L’indignazione tra i noti giornalisti e i principali direttori della televisione spagnola è stato massimo. Si sono sentiti truffati, si sono ritrovati a rivestire il ruolo di vittime. Forse la comparsa sugli schermi di una bambina malata ha contribuito a far crescere considerevolmente i livelli di audience. È quello che succede tutte le volte che si parla di bambini malati, genitori bisognosi e della possibilità di fare beneficenza – il livello di morbosità nella gente cresce, così come la speranza di poter trovar pace per la propria coscienza.
Quando avviene un fatto macabro e tutti i giornali ne parlano, molte delle persone che conoscevano l’aggressore o l’assassino/a assicurano che si trattasse di una persona all’apparenza normale e gentile. I mezzi d’informazione fanno di tutto per convincerci che siamo circondati da persone pericolose che non sembrano esserlo.
In questo caso, il dolore di protocollo sui loro volti e la grande messa in scena che hanno costruito ci rivelano che i protagonisti di questa storia erano, invece, “i vicini che non salutavano mai”. Scopriamo cosa può insegnarci il caso di Nadia.
È capitato che persone che credevamo essere veri e propri esempi di coraggio, come il padre di Nadia, si siano rivelate, in realtà, soggetti dannosi per la società. Questo caso ci insegna che oggi giorno l’ignoranza va di pari passo con gli incassi dei “mass-media”.
Secondo l’opinione pubblica, molte persone sono “senza cuore” perché non condividono su Facebook la foto di un neonato affetto da tumore, perché affermano che interromperebbero una gravidanza in caso di gravi malformazioni congenite, perché dicono di non credere nella beneficenza come fonte di dignità sociale o, ancora, perché diffidano dalle terapie alternative. Queste persone vengono troppo spesso catalogate come scettiche, prive del minimo senso di empatia e comprensione.
Ciò nonostante, esiste ancora una buona fetta di popolazione che non avrebbe mai trasformato una bambina nella protagonista di un simile spettacolo mortificante. È la conseguenza della sempre più in auge pseudoscienza, della mercificazione del dolore e dello sfruttamento della beneficenza e delle “manifestazioni di comprensione” verso il dolore altrui come occasione per sembrare brave persone. Tuttavia, in questo modo non si fa altro che fomentare l’esatto contrario.
I talk show televisivi hanno dato voce a medici incapaci di distinguere tra una tricotiodistrofia, patologia di cui è affetta davvero la bambina, da una malattia terminale, per la quale veniva spacciata. Tanto meno si sono minimamente intenzionati a farlo, dato che danno per scontato che il pubblico sia abbastanza ignorante da fidarsi ciecamente di loro e non pensare neanche all’eventualità di informarsi su Google.
Un pubblico che ha creduto alla bugia che in una grotta in Afganistan vi fosse un celebre medico esperto in manipolazione genetica che, attraverso delle iniezioni alla nuca della piccola Nadia, avrebbe potuto salvarla da morte certa.
Nessuno si è preoccupato di intervistare Juan Fernando, dell’Hospital Clinic di Barcellona, o la genetista Ana Patiño della Clinica Universitaria di Navarra, che nel 2006 avevano diagnosticato tramite analisi genetica la tricotiodistrofia della bambina. Entrambi si sono mostrati stupefatti di fronte all’esposizione mediatica del caso e alla raccolta di fondi messa in piedi dai genitori per poter sottomettere la loro bambina ad un inesistente trattamento sperimentale ad Houston.
Il padre, munito di collanine mistiche al collo, aveva assicurato di essere al corrente di un nuovo trattamento reso possibile grazie agli scienziati della NASA, e aveva fatto commuovere il pubblico e la presentatrice. Era disposto a fare qualsiasi cosa per sua figlia nonostante sostenesse di soffrire egli stesso di tumore al pancreas (del quale ancora una volta non si hanno prove).
I programmi televisivi, dopo aver capito che tutti erano stati presi in giro (e con “tutti” includono se stessi per non prendersi la responsabilità di aver permesso questo show), si sono presi la colpa.
Come se non bastasse, senza la minima autocritica, senza prendersi la responsabilità di aver contribuito a diffondere l’ignoranza, gli spazi televisivi hanno poi diffuso presunte foto a sfondo sessuale scattate alla bambina e ritrovate tra gli oggetti personali del padre.
Anziché dare spazio al lato emotivo, si sono dedicati ad un’analisi minuziosa delle pose della bambina ritratta nelle foto, in che modo e da quale angolo potevano essere state scattate. Se la piccola era nuda, se era stata drogata. Lo scherno pubblico non ha fine. Il cattivo padre e la madre ignorante sono già stati processati, ma i programmi televisivi continuano a fare ascolti calpestando l’onore e la dignità di quella bambina.
Forse Nadia non morirà così presto come in molti avevano affermato, ma la sua intimità è stata violata per sempre.
Il caso di Nadia ci insegna molte cose. Ci insegna che i genitori possono essere le persone peggiori per un bambino, per quanto si stenti a crederlo. Ci apre gli occhi sul, per così dire, estenuante lavoro di investigazione che alcuni giornalisti realizzano in casi così delicati.
Ci insegna che la diffusione di foto a contenuto sessuale ritraenti una bambina di 11 anni – accessibili a chiunque – può essere utile a far crescere l’audience. Che i media non hanno il minimo interesse nel mostrare correttezza. Che le terapie fasulle possono far guadagnare alla televisione più soldi rispetto alla ricerca medica seria.
Che talvolta accendiamo la televisione e ascoltiamo quello che ci dicono senza pensare che Nadia potrebbe essere un qualunque bambino intorno a noi. Che per lo spettacolo e l’audience non ci sono regole e che i vicini che l’altro ieri ci salutavano domani potrebbero essere dall’altra parte dello schermo. In questi casi, non resta che chiedere scusa per essere stati spettatori di simili pagliacciate.
Non resta altro che chiedere scusa a tutti quei padri e quelle madri che, ogni giorno, lottano per curare le malattie dei loro figli con terapie giuste ed efficaci, riponendo la loro fiducia nell’efficacia della ricerca e della scienza piuttosto che credere all’ipocrita carità di un palinsesto televisivo. Scusa a tutti loro e soprattutto a Nadia. Non avresti mai dovuto essere sottoposta a tutto questo e nessuno avrebbe dovuto consentirlo.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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