PALERMO (ITALPRESS) – “Messina Denaro aveva un peso criminale paragonabile a quello di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. La sua morte crea indubbiamente problemi e apre nuovi scenari all’interno di Cosa nostra. Nello stesso tempo non bisogna dimenticare che purtroppo si tratta di un’organizzazione ‘storicà, ben strutturata e consolidata, capace quindi di sopravvivere anche a perdite molto gravi come quella di un boss del suo calibro”. Così, in un’intervista al Corriere della Sera, Gian Carlo Caselli, che guidò la Procura di Palermo negli anni più duri della lotta alla mafia.
“Si potrebbe affermare sempre più la mafia degli affari con la cosiddetta ‘zona grigià – aggiunge -. Il rischio è che si riproponga il limite culturale che da sempre ci affligge. Quello di considerare la mafia un pericolo solo quando scorre il sangue per effetto delle sue strategie ‘militarì; sottovalutandola invece, fino ad accettare il rischio di conviverci, quando adotta strategie ‘attendistè, dimenticando la sua lunga storia di violenze e quella straordinaria capacità di condizionamento che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere criminale”. Secondo Caselli, la mafia stragista “sembra finita. Sembra, perchè potrebbe sempre tornare, se solo converrà ai boss e ai loro complici. Bisogna fare molta attenzione ai segnali indiretti che si lanciano”. “Lo specifico mafioso consiste essenzialmente in organizzazione e connivenze – sottolinea -. Poi vi sono le ambiguità, gli ammiccamenti, i ritardi, le superficialità: regali fatti alla mafia, magari inconsapevolmente. Certe iniziative rischiano di costituire dei segnali che si prestano a essere fraintesi”.
“Sostenere che il concorso esterno non sia un reato previsto nel nostro ordinamento, per esempio; o tagliare dal Pnrr 300 milioni di euro destinati alla gestione dei beni confiscati alle mafie, lasciando che questi beni rimangano improduttivi e alimentando così la bestemmia che… si stava meglio quando si stava peggio”, dichiara Gian Carlo Caselli che, in merito alla cattura del boss, commenta: “Penso che la ricostruzione risultante dalle dichiarazioni del procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, sia più che convincente: la malattia di Messina Denaro ha costituito un tassello del grande mosaico che i carabinieri del Ros hanno costruito intorno a lui con indubbia abilità investigativa. Piuttosto va sottolineato come al boss, e prima di lui a Riina e Provenzano, sia stata assicurata in carcere un’assistenza sanitaria continua e di prim’ordine”. “Si tratta di un diritto che lo Stato gli ha doverosamente riconosciuto e nel contempo una dimostrazione di democrazia verso chi costituisce la negazione assoluta dei valori costituzionali – aggiunge -. I mafiosi praticano un metodo di intimidazione, assoggettamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese, contribuendo in maniera concreta e decisiva a creare una serie di ostacoli di ordine economico e sociale che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, esattamente l’opposto di quel che chiede la Costituzione. Uno Stato che garantisce la cura anche di costoro è uno Stato forte ed evoluto”.
– foto Agenzia Fotogramma –
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