“Il calo delle nascite è figlio di una crisi economica che ha generato una società sterile dentro, protezionista, consociativa e ostile alla maternità”. A dirlo non è uno di quegli psicologi e sociologi che affollano i giornali e i salotti televisivi ma una persona che, certo più di loro, ha capito uno dei mali che affliggono il nostro paese e ha cercato a suo modo di mettervi una pezza. Parliamo di Roberto Brazzale, patron dell’omonima azienda che produce il formaggio Gran Moravia, nata nel lontano 1784 e allargatasi fino a contare ben 550 dipendenti e 150 milioni di euro l’anno di fatturato. Come ha raccontato settimana scorsa in un’articolata intervista al quotidiano La Verità, Brazzale non ci sta a vivere in una società vecchia che disincentiva la maternità, vissuta come un peso dalle donne costrette a vederla come “un ostacolo alla realizzazione professionale”.
Ed ecco che Brazzale – da padre di tre figli, prima ancora che imprenditore – ha proposto la sua soluzione: un “baby bonus” da 1.500 euro, un mese di stipendio in più, per tutte le famiglie che lavorano nell’azienda che hanno un figlio o decidono di adottarlo. Un incentivo che non si applica solo ai dipendenti dello stabilimento principale di Zanè (Vicenza) ma anche ai 120 della struttura in Moravia, Repubblica Ceca, che riceveranno 25mila corone ceche (pari a circa 940 euro).
Oltre alle ricadute concrete (non saranno moltissimi, ma 1.500 euro permettono comunque ai genitori di fare importanti acquisti per i figli), il contributo di Brazzale ha un’importante significato da un punto di vista simbolico: valorizzare la cultura della speranza a scapito di quella della paura. Questo stato delle cose – dice sempre nell’intervista – “durerà fino a quando regnerà la cultura della paura, fino a quando preferiremo la difesa alla speranza. Siamo un’economia che esalta la rendita e penalizza il lavoro. Una società che premia la sterilità e il panico non può andare da nessuna parte”. Brazzale non concepisce il bonus come un dono ma come un mezzo per “partecipare a questo stato di grazia (la maternità ndr) e, di conseguenza, portare bellezza nell’azienda”. Una struttura economica che, ben lungi dal ridursi a una nuova forma di ammortizzatore sociale, agisce con un’importante finalità politica: “Ottenere profitti affinché non si brucino risorse: questo è il primo dovere morale di un imprenditore che si rispetti. Il resto è retorica”.
Sarebbe bello vedere molti più imprenditori come Brazzale che sanno puntare al profitto (cosa che deve fare ogni capitano d’azienda che si rispetti) senza per questo dimenticare di valorizzare la componente umana. Ce n’è assolutamente bisogno se consideriamo che – come ha certificato l’Istat – dal 2008 al 2015 le nascite sono calate del 20%, mentre nel 2016, complice un’ulteriore riduzione (solo 474mila nati), la popolazione italiana è scesa di numero per la prima volta da 90 anni a questa parte. Ancor più drammatiche le proiezioni secondo cui fra meno di 50 anni la popolazione potrebbe scendere di 7 milioni, invecchiando notevolmente. Un trend negativo che si osserva in molti stati dell’Ocse come il Giappone che si avvia sulla strada dell’inverno demografico.
Peccato che, sfogliando le cronache, non si trovino molti esempi in tal senso. Tre mesi fa ha avuto molto clamore mediatico l’assunzione di una mamma, Martina Camuffo, al nono mese di gravidanza da parte di un’azienda creativa del Veneto (Creative Way). Lo stesso Matteo Renzi, come d’abitudine, si è gettato nella mischia mediatica per ringraziare l’imprenditore in questione (sempre Renzi con incredibile puntualità il giorno della ‘festa della mamma’ ha detto: “Bene il bonus mamma o la legge zero sei sulla scuola dell’infanzia che abbiamo finanziato nei mille giorni. Ma sul valore sociale e civile della maternità bisogna fare di più”). Una scelta che, secondo un’altra ex dipendente, Martina Cognolato, non è stata altro che un’operazione marketing per nascondere mancanze verso altri dipendenti: “C’è chi è in causa – ha detto – chi come me aspetta ancora il Tfr, chi deve essere ancora pagato con belle cifre”. Che ciò sia vero o meno, è chiaro che l’assunzione di una sola dipendente, benché possa essere un bel gesto, non risolve il problema della natalità e della difficile conciliazione fra famiglia e lavoro.
Ci vorrebbero dunque più imprenditori illuminati? Forse sì ma, soprattutto, ci vorrebbero politiche più favorevoli alla natalità. Invece dei ridicoli baby bonus una tantum, sarebbe il caso di detassare le famiglie più numerose tramite il quoziente familiare in modo da lasciare nelle loro tasche più soldi per crescere i propri figli. Se riesce a farlo un imprenditore del Veneto, non si capisce perché non lo possa fare anche lo Stato, rinunciando magari a qualcuno dei suoi numerosi sprechi.