di Chiara Suanno
Una platea di giovani riempie l’Aula Magna del palazzo Giacomo Ciamician di Bologna, il 22 ottobre, per seguire l’evento internazionale “Half-Earth Day”. Una tavola rotonda a cui si avvicendano professori universitari, carabinieri forestali e gestori di Parchi. Con l’obiettivo di stabilire se sia possibile restituire “Metà Pianeta” alla natura, per conservarne la biodiversità.
Il moderatore, prof. Carlo Rondinini dell’Università La Sapienza, introduce il concetto di “Half-Earth” formulato dal biologo statunitense Edward O. Wilson. L’idea è di tenere per noi “solo” mezzo pianeta, e lasciare il resto a tutte le altre forme di vita. Con i ritmi di crescita attuali entro il 2100 avremo distrutto il 90% degli ambienti naturali, causando l’estinzione del 50% dei viventi. “Per alcuni potrebbe sembrare poco interessante – ammonisce Rondinini – Ma il problema è che noi dipendiamo dalle risorse naturali “.
Le estinzioni sono già in corso, come ricorda il presidente della Federparchi, Giampiero Sammuri: dal 2016 al 2018 è stata accertata la scomparsa di 276 specie. La zoologa Barbara Mantovani, docente all’Università di Bologna, si focalizza sulla drammatica riduzione degli invertebrati, fondamentali ma poco tutelati. Il punto cruciale però non sono le estinzioni in corso, quanto piuttosto quelle future. Lo puntualizza il Alessandro Chiarucci, dell’Università di Bologna, parlando di “debito d’estinzione”: l’effetto delle azioni umane sulla biodiversità non è immediato, ma ricade sulle generazioni successive.
Come fare allora per frenare questo trend? Alcuni propendono per il coinvolgimento popolazione nella conservazione. Ne è un esempio virtuoso il Parco Nazionale d’Abruzzo. Il suo Presidente, Antonio Carrara, lo presenta come modello di cambiamento economico e partecipazione dei residenti. Carrara aggiunge che anche solo una migliore connessione e gestione delle aree protette esistenti permetterebbe l’espansione dell’areale per molte specie.
A questa visione si contrappone quella della conservazione tramite protezione integrale, il cosiddetto “rewilding”. Ne è fautore il Gianluca Piovesan, dell’Università della Tuscia: “I tempi di sviluppo delle piante non sono paragonabili a quelli della nostra economia – avverte – È impossibile fare una selvicoltura prossima alla natura”. Per lo scienziato, un candidato ideale per l’Half-Earth sarebbe l’Appennino. Mentre Carrara propone l’Abruzzo. E se queste soluzioni possono sembrare utopistiche, il Generale Davide De Laurentis dei Carabinieri forestali ricorda come l’attuale patrimonio ambientale italiano derivi proprio da progetti coraggiosi. Ma non c’è solo il verde da tutelare. Secondo Laura Airoldi, dell’Università di Bologna, gli oceani sono tra le zone più impattate e meno protette.
Se rinunciare a metà Terra è difficile, usarne metà appare impossibile. L’Alessandra Bonoli, professoressa all’Università di Bologna, ha spiegato come oggi si consumi una quantità di risorse pari fino a 4 pianeti. Ma quando si esauriscono le risorse si va in contro a migrazioni e monopoli, ammonisce Roberto Basset, professore all’Università del Salento.
Rinunciare a tanto quindi potrebbe restituirci di più, in termini di sopravvivenza, benessere e giustizia. Il convegno si chiude sulle immagini di un’Italia selvaggia, fotografata da Bruno D’Amicis, che non vuole smettere di esistere.
Source: lanuovaecologia.it
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