Uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita è stato quando, in una boutique di Tokyo, ho dimenticato di togliermi le scarpe prima di entrare nel camerino. La commessa ha lanciato dei versi ultrasonici che per un attimo ho temuto di aver calpestato un cucciolo. È stato tremendo.
A parte questo singolo episodio, l’abitudine dei giapponesi di togliersi o di cambiarsi le scarpe a seconda degli ambienti mi è sempre parsa legittima e naturale. In casa si sta in calzini o a piedi nudi, e l’architettura lo incoraggia: solitamente i pavimenti sono rivestiti da tatami, stuoie di paglia di riso intrecciate, e gli ingressi sono composti dal genkan, uno spazio situato a un livello più basso rispetto al resto dell’abitazione, dove lasciare le scarpe ed eventuali altri oggetti (ombrelli e cappotti, ad esempio).
A casa mia non c’è un genkan, ma appena entri ti trovi davanti una rientranza nel muro dove teniamo le scarpe, con tanto di sedia dove appoggiarsi per metterle e toglierle. Questo per venire incontro il meglio possibile alla mia politica sulle scarpe in casa, che è molto semplice: NO.
Un po’ è una questione di igiene, ma mentirei se dicessi che è il mio primo pensiero. La realtà è molto più sciocca di così. Il fatto è che io amo tornare a casa (in ogni caso, non conta se fuori mi sia divertita), e quando lo faccio voglio sentirmi a casa. E casa, per me, significa non costringere i piedi un minuto di più nelle scarpe, fossero le mie comodissime e adorate Tosca Blu nere e fucsia o le scomodissime oxford praticamente di cartone comprate da Primark in un momento di debolezza consumista (è stato un errore, non fatelo). “Casa” è definita da una cosa sola: infilarmi le ciabatte. Se sono ciabatte ridicole, oltre che comode, è ancora meglio. Una sola cosa può ritardare l’attimo inevitabile in cui indosserò le ciabatte, vale a dire un’emergenza bagno, e deve essere davvero, davvero grave. In tutti gli altri casi, cascasse il mondo, camminerò sui resti con le mie pantofole di Minnie.
Ho esperienza di persone che rimangono vestite di tutto punto anche in casa, con tanto di scarpe, e devo dire che non mi fido di loro. Mi chiedo sempre se non si tengano pronti a fuggire da un momento all’altro, e perché. Forse è meglio non saperlo. I miei amici preferiti sono quelli che quando vado a trovarli mi chiedono se voglio un paio di ciabatte (sì! sì! sì!), e ovviamente accolgo sempre i miei amici preferiti offrendo loro un paio di ciabatte. Un’abitudine, devo dire, che vedo spesso tra i miei coetanei, e che approvo con gioia. Sarà perché siamo cresciuti coi cartoni giapponesi? O è piuttosto perché siamo (appunto) una generazione di pantofolai?
Ad ogni modo, l’abitudine di togliersi le scarpe in casa è tutt’altro che moderna. Come racconta Internazionale, le prime tracce potrebbero trovarsi già in alcuni quadri del quindicesimo secolo, dove appaiono scorci di probabili calzature a uso domestico. Probabilmente questa usanza fu introdotta dagli ottomani, che in casa indossavano le galosce. Le pantofole sono poi diventate il simbolo di una vita agiata. Nessun bracciante, per esempio, si sarebbe mai tolto le scarpe prima di entrare in casa, né avrebbe potuto permettersi scarpe specifiche per quello scopo. I nobili, invece, potevano. Nel diciottesimo secolo le lussuose pantofoline della corte francese divennero un trend cavalcato da tutti, compresa ovviamente quella trend setter pazzesca della regina Marie Antoinette: un suo paio di ciabatte di seta è stato battuto all’asta nel 2012 per ben 50.000 euro.
Le mie pantofole valgono decisamente meno, ma svolgono lo stesso un ottimo servizio. Mi ricordano che anche se sono stanca, stressata, confusa, arrabbiata, dopo averle infilate andrà tutto un po’ meglio. Se ci sono loro, sono a casa.
(Ps: Non dite alle pantofole che andare in giro a piedi nudi è ancora meglio, poi si offendono!)
Source: freedamedia.it
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