L’attaccamento è il legame affettivo che si sviluppa per primo e comporta la ricerca di sicurezza e benessere. Nel caso in cui il genitore o il tutore del minore rappresentano allo stesso tempo una fonte di pericolo e di protezione per il bambino, si parla di attaccamento disorganizzato.
“I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta”.
-Haim G. Ginott-
L’attaccamento disorganizzato (di tipo D) è stato inizialmente associato agli ambienti patologici e alle diverse forme di maltrattamento infantile, fisico o emotivo all’interno del sistema familiare. In questo senso, le vittime di atti violenti e maltrattamenti fisici possono avere delle difficoltà a relazionarsi con altre persone, semplicemente per scarsa familiarità o per mancanza di un modello relazionale di riferimento.
La probabilità che l’ira che accompagna questi bambini termini per incorporarsi in qualche modo alla loro personalità è molto alta. Questa carica emotiva negativa rende difficile il controllo del loro stesso comportamento e la regolazione delle loro emozioni, aumentando così il rischio che anch’essi ricorrano alla violenza.
Le punizioni spropositate e i maltrattamenti sono fonti di messaggi distruttivi per le vittime, che interiorizzano a livelli molto profondi poiché provenienti da persone di riferimento. Di conseguenza, producono un grande impatto in aree critiche dello sviluppo infantile, pregiudicando il loro futuro sviluppo sociale, emotivo e cognitivo; allo stesso tempo, compromettono la loro infanzia.
Un bambino con attaccamento disorganizzato può generare un’immagine negativa di se stesso. Può persino credere di essere la causa della mancanza di controllo dei suoi genitori e questo lo porterà ad auto-rappresentarsi come una persona malvagia, inadeguata o pericolosa. Il mondo in generale gli risulta un luogo insicuro e caotico, dove vi sono norme e regole che sfuggono alla sua comprensione: non è capace di agire in modo “razionale”.
I bambini maltrattati sono soliti provare un senso di inferiorità, che si manifesta in comportamenti di timidezza e paura. A loro volta, possono presentare comportamenti di iperattività, cercando di attirare l’attenzione di chi li circonda, nel tentativo disperato di ottenere i rinforzi che non trovano per vie naturali.
Un attaccamento insicuro, e soprattutto disorganizzato, è associato a maggiori tassi di condotta antisociale e a problemi di condotta in generale. Non è raro che i bambini riproducano, anche con i loro compagni e con gli insegnanti, il modello relazionale che vedono in casa. Provano confusione e apprensione quando si trovano in prossimità dei genitori, poiché non hanno chiaro come, né quando risponderanno ai loro bisogni. Inoltre, diffidano dei contatti fisici, in particolare da parte degli adulti.
Il comportamento di questi bambini si disorganizza soprattutto perché non riescono a trovare una soluzione ai loro problemi, né allontanandosi, né avvicinandosi ai loro genitori o al tutore di riferimento. Di fatto si chiama attaccamento disorganizzato poiché non riescono a stabilire un modello generale per quanto riguarda le loro risposte affettive: tanto quelle manifeste, quanto quelle interne.
La tristezza, l’indifferenza o la rabbia sono le emozioni più comuni sul volto di questi piccoli. A questa coniugazione emotiva occorre sommare la mancanza di motivazione, che può sfociare in uno stato d’animo depresso o in comportamenti autodistruttivi nei casi più gravi. Altri sintomi, come la paura, l’ansia o lo stress postraumatico, sono la conseguenza naturale di vivere in un contesto a cui tengono, ma sul quale non hanno un controllo.
Grazie a numerosi studi, sappiamo che i bambini con DDAI (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) presentano un importante deficit nelle abilità di autoregolazione (controllo di impulsi, capacità di calmarsi, regolazione dell’attaccamento e del coinvolgimento, perseveranza, inibizione, ecc.). La relazione precoce fra il bambino e i suoi tutori di riferimento principali condiziona la base per acquisire dette competenze. Pertanto, i bambini con attaccamento di tipo D sono più propensi a presentare problemi nell’acquisizione di queste abilità.
Quando si parla della perdita di familiari o di abusi da parte loro, si osservano grandi lapsus nel ragionamento o discorso. Le esperienze che risultano molto traumatiche generano nel bambino una disconnessione a livello cerebrale; in altre parole, è come se i due emisferi cerebrali si separassero. Da una parte l’emisfero sinistro (il più cognitivo) e dall’altra l’emisfero destro (il più emotivo).
Talvolta, questi bambini non interagiscono con gli altri bambini, né con gli insegnanti. Non contando sulle abilità e sui rinforzi necessari, in certe situazioni non sanno come rispondere agli altri. Si è osservato che realizzano movimenti incompleti o disorientati senza una chiara direzione o intenzione. Presentano immobilizzazione, picchiano con le mani o con la testa e mostrano il desiderio di fuggire, persino in presenza dei loro tutori.
Il loro atteggiamento può oscillare in un raggio molto ampio, dalla passività fino al nervosismo. In concreto, quando un adulto si avvicina ad altri bambini, soprattutto se questi piangono, reagiscono con un grande nervosismo. Non essendo capaci di predire la condotta del loro tutore o genitore, la cosa logica è che cerchino di captare tutti i segnali disponibili, adottando una posizione di ipervigilanza.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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