Se ne è parlato molto negli ultimi giorni: Asia Bibi è stata assolta.
Il 31 ottobre la Corte Suprema del Pakistan ha annullato la condanna a morte che da 8 anni pendeva su di lei: la ragazza, una contadina pakistana e cattolica, ingiustamente accusata di blasfemia è stata scagionata da tutte le imputazioni in terzo e ultimo grado, e i magistrati hanno ordinato la sua scarcerazione dalla prigione femminile di Multan, dove era stata trasferita per motivi di sicurezza.
Il rilascio non è ancora avvenuto a causa delle numerose proteste popolari che la notizia della sua assoluzione ha provocato: per tre giorni le città pakistane sono state teatro di manifestazioni e sit-it ad opera dei sostenitori della famosa “legge nera” contro la blasfemia, una norma concepita sulla fede islamica che si presta a strumentalizzazioni e atti discriminatori. Per porre fine pacificamente ai pericolosi cortei, il governo Pakistano ha firmato un accordo con il principale fautore di queste proteste, il movimento radicale islamico Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TlP). L’accusa ha presentato alla Corte Suprema una mozione di “revisione della sentenza” al Supremo Tribunale, e la richiesta di processo perché il nome di Asia Bibi venga inserito nella “Exit control list”, e che quindi non le sia più permesso di espatriare.
Il caso di cronaca, la vicenda giudiziaria e l’attesa la detenzione di Asia Bibi durano da un decennio, sotto gli occhi dell’opinione pubblica pakistana e internazionale: in questa ultima manovra, c’è chi legge una resa del governo pakistano alle pretese degli estremisti; chi invece confida in una strategia per consentire ad Asia di fuoriuscire di nascosto. In attesa di nuovi sviluppi, è importante ricordare la sua lotta per la libertà: una libertà che ha assunto un significato molto più profondo per tutti noi.
La storia di Asia Bibi
Tutto comincia con un recipiente d’acqua. Il 14 giugno 2009, nel villaggio di Ittanwali, in Punjab, Asia Naurīn Bibi, 40 anni circa, moglie di Ashiq Masih e madre di cinque figli, sta raccogliendo bacche – lavora a giornata come bracciante in un’azienda agricola. Scoppia un diverbio con alcune donne musulmane che lavorano con lei nei campi: fa caldo, qualcuno le ha ordinato di andare a prendere l’acqua per le sue colleghe, ma loro non vogliono che tocchi il recipiente, perché è una cristiana cattolica e renderà impura l’acqua. Le donne invitano Asia a convertirsi all’Islam, lei sostiene la sua fede in Gesù Cristo. Le colleghe riferiscono l’accaduto a un imam, sostenendo che nella discussione Asia abbia insultato il profeta Maometto: il 19 giugno l’imam sporge denuncia contro di lei, accusandola di blasfemia. Le donne musulmane aggrediscono Asia, che viene sottratta ai loro colpi da un gruppo di uomini i quali, in attesa dell’arrivo della polizia, la trattengono e la stuprano. Pochi giorni dopo, viene quindi arrestata e reclusa nel carcere di Sheikhupura, nei pressi di Lahore. Contro di lei non sussiste alcuna prova, ma è cattolica, e la denuncia basta a farla finire sotto processo. L’articolo 295c del codice penale pakistano stabilisce infatti che:
Chiunque con parole dette o scritte o con rappresentazioni visibili, o tramite qualunque accenno, insinuazione o affermazione implicita, direttamente o indirettamente contamini il sacro nome del Santo Profeta Maometto (Pace e Benedizione su di lui) sarà punito con la morte, o con la prigione a vita e sarà anche punito con sanzione pecuniaria.
Fin da subito il processo si svolge in modo irregolare e in un clima di grande tensione: secondo quanto racconterà in seguito uno degli otto legali di Bibi, Sardar Mushtaq Gill, in un’intervista per il periodico cattolico italiano Tempi, al loro ingresso in tribunale il cancelliere accoglie uno degli avvocati della difesa puntandogli una pistola alla tempia. Durante il processo, l’imam ammette di non aver sentito di persona gli insulti blasfemi – e in seguito, infatti, si pentirà pubblicamente della denuncia. Nonostante ciò, l’8 novembre 2010 il giudice distrettuale emette “senza possibilità di attenuanti” la sentenza di colpevolezza nei confronti di Asia Bibi: viene condannata a morte in primo grado. È la prima condanna a morte per blasfemia da quando esiste la legge, voluta nel 1986 dal Generale Zia, cui si deve l’islamizzazione del Pakistan. Dopo l’11 settembre 2001 la situazione per i cristiani pakistani è persino peggiorata: le Chiese hanno ordinato ai fedeli di non parlare del proprio credo con i musulmani, perché questo viene percepito quasi automaticamente come come un atto blasfemo.
La famiglia di Bibi presenta un ricorso all’Alta Corte di Lahore. Il caso di Asia Bibi inizia ad avere una risonanza internazionale: si scatena la mobilitazione delle agenzie di stampa, degli attivisti per i diritti civili, di ONG – sia pakistane sia straniere, sia laiche sia religiose – per chiedere la cancellazione della “legge nera” e la liberazione di Asia Bibi; anche Papa Benedetto XVI lancia un appello per la sua scarcerazione. Su richiesta del marito di Asia, il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, decide che le concederà la grazia se l’Alta Corte non cancellerà la sentenza di morte. Anche il ministro delle minoranze Shahbaz Bhatti e il governatore del Punjab Salmaan Taseer esprimono pubblicamente la loro opposizione all’articolo 295c e la loro vicinanza alla contadina cattolica. Perciò entrambi, già nelle mire degli estremisti, vengono assassinati nel 2011, a due mesi di distanza l’uno dall’altro.
Nel frattempo Asia viene trasferita dal braccio della morte a una cella di isolamento, dove continua la sua prigionia con la salute fisica e mentale gravemente compromessa e soprattutto sempre in pericolo di vita, perché in Pakistan non sono rare le esecuzioni extragiudiziali. Riceve minacce di morte continue dai fondamentalisti, è costretta a cucinarsi il cibo da sola per evitare gli avvelenamenti. Nel 2013 viene trasferita da Sheikhupura al penitenziario femminile di Multan che, anche se più sicuro, è più lontano, il che rende più rare e difficoltose le visite dei familiari. Asia resiste grazie alla preghiera, dichiara di aver perdonato i suoi accusatori e chiede di far ritorno dalla sua famiglia.
Il 16 ottobre del 2014 l’Alta Corte conferma la pena capitale per impiccagione. L’avvocato Gill riporta però che la difesa ha subito pressioni durante il processo, e che il loro ricorso è stato rigettato principalmente perché non sono riusciti a contro-interrogare i testimoni dell’accusa:
Quando si tratta di insulti blasfemi è quasi impossibile contro-interrogare i testimoni perché si può essere accusati di essere blasfemi a propria volta. L’avvocato che ha condotto il processo, il signor Chaudry, è musulmano ed era tremendamente sotto pressione, così come il giudice. In aula era presente un gruppo di estremisti islamici, venuti per far sentire la loro presenza, che rumoreggiavano […]. In casi precedenti di blasfemia, un giudice era stato ucciso, così il nostro voleva chiudere in fretta il processo. […] Gli avvocati dell’accusa sono molto aggressivi, li conosciamo. Si occupano solo di casi di blasfemia ed erano legati ai gruppi estremisti presenti in aula.
La difesa presenta quindi l’appello alla Corte Suprema del Pakistan: il 22 giugno 2015 la pena capitale viene sospesa, e il processo viene rimandato ad un nuovo tribunale. Asia Bibi resta in carcere per i successivi tre anni.
L’accusa, in ultimo appello, ha fallito nel dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” la colpevolezza di Bibi. Uno dei giudici autori della sentenza di assoluzione ha aggiunto che «la blasfemia è un’offesa grave ma anche insultare la religione dell’imputata e mischiare la verità e la falsità come fatto dall’accusa nel nome del profeta Maometto non è meno blasfemo». I fondamentalisti manifestanti chiedono a gran voce che Asia Bibi e i giudici che l’hanno scagionata siano impiccati. Plotoni di poliziotti e soldati sono stati dispiegati sul territorio pakistano per contenere la protesta, soprattutto per timore di attentati terroristici.
Il valore della libertà di Asia Bibi
Anche se Asia Bibi è libera sulla carta, resta in prigione ed è più vulnerabile che mai agli attacchi dei suoi oppositori. Le è stato offerto asilo da molte nazioni estere, e attende solo di poter lasciare il paese. La sua vicenda è molto simbolica, sia per i cittadini pakistani sia per noi occidentali. Il corpo di Asia Bibi, donna comune, lavoratrice e madre, perseguitata e discriminata per il suo credo, stuprata e ingiustamente imprigionata per quasi un decennio, è stato il campo di battaglia di un conflitto sociale e religioso molto antico: quello tra i due monoteismi, Cristianesimo e Islam, che nella storia dell’umanità si sono vicendevolmente perseguitati, in una dinamica ciclica alimentata dal terrore e dall’odio, da pregiudizi, antipatie e vendette personali. Il sacrificio e la resistenza esemplare di Asia possono però rinforzare la nostra fiducia nel cambiamento verso un mondo più tollerante, in cui la brutalità degli estremismi, religiosi e politici, non possa più arrivare a negare la libera espressione né a minacciare altri diritti fondamentali dell’uomo. Il valore della libertà di Asia Bibi, e delle parole ribelli e coraggiose dei giudici che stanno rischiando la vita per averla assolta, è il valore della nostra stessa libertà, e di quella di tutti coloro che, consapevoli o meno, vivono nell’oppressione e nell’assolutismo.
Source: freedamedia.it