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Arte Ed Educazione In Pakistan: Una Mostra Da Non Perdere

Il saggio proverbio “La penna è più potente della spada” dice la verità. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. […] Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. […] Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.

Lo ha detto Malala Yousafzai, arcinota attivista educazionale pakistana, il Premio Nobel per la Pace più giovane della storia, che da anni si batte per il diritto all’istruzione femminile nei paesi mussulmani. La sua storia, narrata da molte testate internazionali e divenuta quasi antonomastica, è un faro di cultura non solo per i cittadini dei regimi in cui le donne non possono studiare, ma anche per noi “evoluti” occidentali, che a volte diamo questo diritto per scontato o ne dimentichiamo la forza rivoluzionaria.

Quando si vive in un luogo in cui ci sono continui sconvolgimenti sociali, corruzione politica ed economica, conflitti e violenze, povertà, analfabetismo, ingiustizie, è più probabile che gli artisti rispondano in modo più viscerale e autentico a questi problemi che non riescono a ignorare. C’è un detto, “la necessità è la madre dell’invenzione”: in condizioni difficili i migliori riescono a dare il meglio, come nel caso degli artisti in Pakistan.

Lo ha detto Salima Hashmi, artista e curatrice pakistana, recentemente intervistata da Artribune, commentando a una sua stessa frase, “It’s odd that the worse things are, the better art becomes” [“è strano come più le cose peggiorino, più l’arte diventi migliore”, N.d.R.]. Impegnata da decenni nell’educazione all’arte e nell’attivismo sociale, la professoressa Hashmi rappresenta, in Pakistan e nel mondo, un modello di lotta pacifica che elegge l’arte a strumento di disinnesco dell’oppressione, di ribellione alla conformità dettata dall’alto. Promuovendo l’arte del suo paese, Salima promuove un’idea di tolleranza e di dialogo costruttivo, ora più che mai urgenti anche in Europa. Ed è a Milano infatti che Hashmi, insieme alla critica Rosa Maria Falvo, ha organizzato una mostra eccezionale, già annunciata un anno fa: si intitola Art for Education: Artisti Contemporanei dal Pakistan e consiste, per l’appunto, nella prima collettiva di artisti pakistani in Italia.

L’iniziativa è ospitata dal Museo Diocesano Carlo Maria Martini e voluta dalla Onlus Italian Friends of TCF, ossia gli Amici Italiani dell’organizzazione The Citizens Foundation, no-profit laica pakistana che dal 1995 si adopera per l’istruzione femminile e dei meno abbienti, fondata da professionisti e imprenditori, sostenuta con riconoscenza da artisti conterranei di fama internazionale. La collettiva ruota intorno ai due temi espressi nel titolo: l’arte e l’educazione. Il diritto all’istruzione scolastica e alla creazione artistica, strettamente connessi, sono i cardini della controcultura pakistana, straordinariamente viva e resiliente – una realtà molto lontana dall’immagine di regime comunemente associata al Pakistan e radicata nella nostra opinione pubblica. L’arte pakistana è così viva perché nasce dal duro conflitto e si sviluppa in condizioni non favorevoli al libero pensiero: dalle limitazioni culturali e sociali sgorgano voci limpide ed eleganti, capaci di evocare con sensibilità cortocircuiti individuali e conflitti sociali; di far incontrare tradizione e innovazione, memoria e attualità, interiorità e gusto estetico; di mettere in atto rivoluzione quotidiana che, silenziosa e inarrestabile, educa cuori e menti di artisti e fruitori.

L’educazione è, da sempre e per eccellenza, uno dei due principali strumenti di cambiamento sociale e di resistenza non-violenta: ne erano convinti anche Nelson Mandela, Mahatma Gandhi, Martin Luther King. Chi impara a conoscere sé stesso e il mondo, a riflettere sulla realtà che lo circonda, a comunicare agli altri pensieri ed emozioni, sarà sempre pericoloso per chi detiene il potere con violenza e tenta di occupare l’immaginario di un popolo per sopraffarlo. A spaventare la tirannia più di tutto è il libero pensiero, soprattutto di chi, come Malala, ha il coraggio di perseguire le proprie intuizioni e combattere per ciò che è giusto.

Nata nel 1997 a Mingora da famiglia di etnia pashtu e fede sunnita, Malala – il cui nome rimanda a quello della poetessa guerriera Malalai of Maiwand – è stata istruita nella sua lingua, in urdu e in inglese dal padre Ziauddin Yousafzai, poeta e attivista educazionale, nella sua Kushal Public School, una catena di scuole private nella Swat Valley. A papà Ziauddin va il merito di averla incoraggiata fin da subito a esprimere senza paura la propria opinione e ad alzare la testa contro le imposizioni del regime talebano, che le ha negato il diritto fondamentale allo studio. Ispirata dal Padre della Nazione Muhammad Ali Jinnah e dal Primo Ministro Benazir Bhutto – uccisa in un attentato dagli estremisti – nel 2008, a soli 11 anni, Malala pronuncia il suo primo discorso di fronte ai giornalisti del distretto Swat; poi, spinta dal giornalista della BCC Aamer Ahmed Khan, inizia a scrivere un blog anonimo sulla sua vita durante l’occupazione militare. L’anno successivo, entra a far parte del programma Open Minds Pakistan Institute for War and Peace Reporting; le sue gesta crescono di notorietà: rilascia interviste internazionali, viene candidata all’International Children’s Peace Prize. Per i talebani l’attivista bambina diventa “il simbolo degli infedeli e delle oscenità”: tentano quindi di metterla a tacere, sparandole alla testa il 9 ottobre del 2012, mentre rientra a casa con lo scuolabus. Grazie alla rimozione dei proiettili, Malala sopravvive e diviene un’icona potentissima della lotta all’oscurantismo talebano. L’attentato che la voleva cancellare la rende più convinta, oltre che più famosa: nel 2013 viene insignita dal Premio Sakharov per la libertà di pensiero; nel 2014 del suddetto Nobel; nel 2015, diventa una dei testimonial della campagna per The Global Goals, il progetto per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Dal 2017, studia filosofia, politica ed economia al Lady Margaret Hall di Oxford.

L’altro strumento principe di resilienza e rivoluzione pacifica è l’arte. Che sia istintiva o concettuale, l’azione artistica ha sempre rappresentato un’efficace forma di contestazione, e quindi una minaccia da imbrigliare nei confini della propaganda politica per il mantenimento dello status quo. Insieme all’educazione, l’arte pakistana contemporanea è ancella della guerra pacifica al totalitarismo culturale e religioso del regime. Un fulgido esempio di questa dimensione di lotta è rappresentato dalla pittrice, professoressa, attivista Salima Hashmi. Pioniera dell’arte moderna non tradizionale, curatrice d’arte fra le più influenti e rispettate in Pakistan, Salima è nata a Nuova Delhi nel 1942. È la figlia del poeta marxista e dissidente politico Faiz Ahmad Faiz, nominato per il Premio Nobel per la Letteratura e vincitore del Lenin Peace Prize, e di Alys Faiz, autrice e attivista anglo-pakistana – Alys è la madre del governatore del Punjab Salman Taseer, assassinato nel 2011 da un fondamentalista islamico per aver visitato in carcere Asia Bibi ed essersi opposto alla legge sulla blasfemia, che in Pakistan contempla la pena di morte.

La pittrice cresce quindi in un contesto familiare intriso di impegno politico per i diritti civili. Dopo la spartizione dell’India del 1947, la famiglia si trasferisce a Lahore, dove Salima inizia a studiare design al National College of Arts, per poi approfondire la sua formazione in Gran Bretagna, alla Bath Academy of Arts di Corsham, dove si laurea in “art education”, e negli Stati Uniti, dove si perfeziona alla Rhode Island School of Design. Rientrata in patria, Salima si dedica all’insegnamento universitario per 30 anni, presso la facoltà d’arte del National College of Arts di Lahore, di cui è anche preside dal 1995 al 1999: con la sua sensibilità e dedizione, la professoressa Hashmi ha contribuito a forgiare una nuova generazione di artisti. È una scout di emergenti, cura molteplici mostre, sia nelle sue gallerie sia in musei esteri, per promuovere in patria e nel mondo l’opera di artisti e artiste suoi connazionali, educare il pubblico all’arte contemporanea, stimolare nuovi collezionisti. Si deve a Salima l’organizzazione della prima mostra d’arte pakistana contemporanea, nel 2009 negli Stati Uniti: da allora alla sua attività di promozione e curatela è stato secondo solo l’impegno civile nella lotta per la democrazia, contro la discriminazione delle minoranze e l’oppressione culturale. Membro della Human Rights Commission del Pakistan, nel 1999 è stata premiata dal governo pakistano con il Pride of Performance for Art Education; nel 2011 è stata nominata membro internazionale dell’Australian Council of Art and Design Schools; nel 2016 è stata insignita l’Alma Award dall’Alma Culture Center di Oslo per l’impegno nella diffusione di messaggi di tolleranza attraverso il linguaggio artistico, ed ha ricevuto la laurea honoris causa in arte ed educazione dalla Bath Academy of Arts, nel Regno Unito.

Art and Education, arte ed educazione. Due concetti fratelli nel sostrato culturale pakistano, che danno il nome, oltre che alla mostra, a un progetto educativo pluriennale, finalizzato a raccogliere fondi per finanziare l’istruzione laica attraverso l’arte in Pakistan, e la diffusione dell’arte contemporanea pakistana nel mondo. L’apertura della collettiva è prevista per mercoledì 17 ottobre alle 18.30 – in quella occasione, potrete sentire Hashmi dialogare con la collega Rosa Maria Falvo. Qui il programma completo dell’evento, con focus e incontri da non perdere; qui la presentazione degli artisti, anzi, delle artiste – perché per la maggior parte si tratta di donne – a cura di Art a part of colture. Saranno esposte opere di Harma Abbas, Faiza Butt, Naiza H. Khan, Nusra Latif Qureshi, Imran Qureshi, Rashid Rana, Adeela Suleman e Adeel U Zafar – già tutti sostenitori di TCF – e di giovani emergenti.

Source: freedamedia.it

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