Negli ultimi giorni in Italia, sul fronte dei diritti civili e delle questioni di genere, siamo improvvisamente tornati indietro nel tempo. Pensavamo di aver fatto qualche piccolo passo avanti negli ultimi anni: l’approvazione delle unioni civili e i primi riconoscimenti dei figli delle coppie omogenitoriali sembravano tutti segnali di una nuova sensibilità che, per fortuna – anche se in ritardo rispetto a buona parte dei Paesi occidentali – pareva avesse iniziato a diffondersi.
Ma le prime dichiarazioni del nuovo ministro della Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana, ci hanno costretti a ribadire l’ovvio. La sua idea di famiglia sembra infatti non lasciare spazio ai dubbi: “Credo che la famiglia sia quella naturale, dove un bambino deve avere una mamma e un papà”, ha dichiarato il neoministro, specificando anche che le famiglie arcobaleno “per la legge non esistono in questo momento”, anche se, ha aggiunto: “nel programma che è stato steso con i 5 Stelle non si sono, volutamente, toccati i temi etici. E io rispetterò quel programma”.
Nelle ultime ore, dopo le comprensibili polemiche (anche legate al suo intento di ostacolare l’interruzione volontaria di gravidanza), sulle pagine de Il Tempo, Fontana è tornato a farsi sentire per rivendicare i “valori in cui la maggioranza silenziosa e pacata del Paese si rispecchia”:
Abbiamo affermato cose che pensavamo fossero normali, quasi scontate: che un Paese per crescere ha bisogno di fare figli, che la mamma si chiama mamma (e non genitore 1), che il papà si chiama papà (e non genitore 2) (…) La rivolta delle élite non ci spaventa e non ci spaventa affrontare la dittatura del pensiero unico. Mai come in questo momento battersi per la normalità è diventato un atto eroico.
Prima di commentare le dichiarazioni del ministro, vorrei parlarvi brevemente della mia famiglia. Io ho conosciuto Marius, il mio compagno, cinque anni fa. Abbiamo iniziato a vivere insieme dopo pochi giorni con uno slancio e un’urgenza che a tutti son sembrati fuori luogo ma che il tempo non ha smentito. Abbiamo cambiato tre case da quando stiamo insieme: nell’ultima, quella in cui stiamo ora, ci siamo arrivati dopo un trasloco complicato, che non sarei riuscito a portare a termine se non ci fosse stata la sua resistenza e la sua indole pratica. Viviamo insieme, paghiamo le tasse, ci supportiamo a vicenda: quando lui è rimasto senza lavoro io ho provveduto ai suoi bisogni, quando capita a me di avere dei momenti in cui le entrate calano, lui fa lo stesso. Viviamo con i miei gatti – che ora sono anche i suoi – e in futuro vorremo avere dei figli. Perché essere genitori, checché se ne dica, ha molto poco a che fare con l’abbinamento tra apparati genitali, considerando anche il fatto che le ricerche sono giunte a un consenso accademico schiacciante sul fatto che avere genitori omosessuali non danneggi i bambini.
Stiamo pensando all’unione civile e, quando l’Italia lo permetterà, ci sposeremo. Questa è la nostra vita, questo è ciò che siamo. Siamo due cittadini italiani che si amano e che hanno deciso di progettare insieme la loro vita. Io scrivo e insegno yoga, lui lavora nella moda. Produciamo idee e reddito, siamo inseriti in due, come coppia, in una rete di rapporti umani e professionali. Non c’è niente di estremo o anormale per noi in tutto ciò: questa è, per noi e per moltissime altre persone simili a noi, l’unica normalità possibile. Non è neppure una scelta: è l’unica possibilità che abbiamo di essere noi stessi e provare a essere felici.
Fare appello alla natura – come fanno gli integralisti cattolici – serve più che altro a mettere a tacere quello che non ci piace della realtà. Esprime il nostro (il loro) primitivo bisogno di controllo, il bisogno di pensare che le cose stiano in un modo, e in uno soltanto. Si dice “contro natura” ma si intende “contro la tradizione”, contro l’abitudine. È bizzarro: perché mai si ritiene che la natura possa essere manipolabile, rinnegabile, dirottabile di fatto quasi sempre tranne che in certi casi specifici, come quello della genitorialità? Tutta la nostra società è fondata sull’intervento attivo e radicale sul dato di natura. La tecnologica, la medicina, la giurisprudenza, la morale… Tutta la civilizzazione e la cultura e il diritto intervengono per rendere possibile qualche cosa d’altro dall’ordine “naturale”. In natura il forte prevale sul debole, la femmina è sistematicamente presa e violata, i vecchi restano indietro, i deboli sono i primi a essere divorati dai predatori: quel che può succedere, succede. La natura non è il regno del giusto, non protegge l’uomo, i suoi legami, la sua dignità. L’appello ai limiti naturali è vuoto, retorico, vi si ricorre soprattutto per imporre il proprio punto di vista.
Credo che si debba tutti al più presto recuperare invece l’empatia e l’immaginazione, le facoltà di mettersi in contatto col nuovo, con le possibilità altre. L’immaginazione espone all’imprevisto e all’inaudito, porta sulle strade non ancora battute, smuove il terreno, apre passaggi nella trama degli usi e dei costumi. Nel dibattito sulla famiglia e l’omogenitorialità si rileva infatti soprattutto uno scontro tra immaginari che riguarda l’effetto che le cose ci fanno. Gli intolleranti non difendono la natura, difendono il loro gusto. Sono infastiditi, ahimè in qualche caso forse persino disgustati.
Che la libertà faccia paura non è certo una constatazione originale: i pregiudizi rassicurano, i ruoli delimitano il campo, confortano. E il punto è che non ci basta affatto decidere solo per noi: abbiamo bisogno di estendere anche agli altri le nostre regole e il nostro bisogno di limiti, perché una regola che vale solo per me non risulta abbastanza forte da mettermi al riparo dallo strapiombo della libertà. Per questo vogliamo che tutti facciano come noi, che quella pratica che a noi non interessa o inquieta sia proibita del tutto, che quella scelta sia inaccessibile anche agli altri.
Eppure il dogma della famiglia naturale è ormai insostenibile. La biologia, l’anatomia cosa mai possono assicurare dal punto di vista morale? La storia e la cronaca ci insegnano forse che la famiglia tradizionale è sempre sicura, buona, integra? La natura è anche quella che ci regala le malattie, il predominio della forza maschile su quella femminile, le morti premature: immaginiamo di più, spezziamo la retorica della paura che ci condiziona.
Non è la natura che deve guidare, nel 2018, la politica e la vita civile: dobbiamo imparare e immaginare e diffondere visioni e orizzonti più credibili e concreti di cosa debba e possa essere la famiglia oggi. Perché, ad esempio, fare figli è, non un diritto, ma una possibilità degli esseri umani. E oggi semplicemente le possibilità si sono ampliate, si possono fare figli in modo nuovo, diverso.
Usciamo dalle fiabe antiquate e dalle leggende arcaiche che ci fagocitano la mente. I criteri per decidere dalla vita delle persone più che ispirarsi a una qualche idea di natura devono, soprattutto in Italia, fare i conti con il rispetto – oggi particolarmente a rischio – per la vita degli altri.
Rispetto che le istituzioni europee ci invitano sempre più a riconoscere: proprio in queste ultime ore un’importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui matrimoni omosessuali ha stabilito che i diritti dei coniugi sul ricongiungimento valgono anche nei paesi della UE che non riconoscono il matrimonio egualitario. I Paesi europei che scelgono di non legalizzare le unioni omosessuali, per la Corte “non possono ostacolare la libertà di residenza di un cittadino dell’Unione Europea rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un paese non UE, un diritto derivato di residenza sul loro territorio”.
Una decisione storica, che forse attenua un po’, in tutte le persone, le coppie e le famiglie LGBT italiane, lo sconforto e i timori degli ultimi giorni.
Source:freedamedia.it
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