“L’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da rischio idrogeologico con circa 3,5 miliardi all’anno dal dopoguerra ad oggi, e spende poco per la prevenzione. Oltre a essere un Paese sempre più fragile e insicuro, segnato sempre più da un eccessivo consumo di suolo, dal vecchio e nuovo abusivismo edilizio, dal rischio idrogeologico mentre i cambiamenti climatici amplificano gli effetti di frane e alluvioni. Le immagini di questi giorni legate all’ondata del maltempo che si è abbattuta dal nord al sud della Penisola ne sono ancora una volta la dimostrazione. I fondi annunciati dal premier Conte per le aree colpite dal maltempo sono purtroppo insufficienti rispetto al fabbisogno. Governo e Parlamento mettano in campo subito un programma di azione pluriennale che destini le giuste risorse alla prevenzione, a partire dai 30 miliardi richiesti dalle Regioni per eseguire i 9.000 interventi censiti oggi sul territorio attraverso il sistema Rendis, mettendo al centro le priorità di intervento indispensabili per ridurre il rischio da frane e alluvioni, prevedendo un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e una legge per fermare il consumo di suolo che l’Italia aspetta da troppo tempo e un provvedimento per accelerare gli abbattimenti affidando allo Stato e ai prefetti la competenza sulle demolizioni degli abusi edilizi, oggi in mano ai Comuni spesso vittima del ricatto elettorale”.
È questo l’appello che Legambiente lancia a governo e Parlamento in vista del Consiglio dei ministri straordinario di questa sera a Palazzo Chigi, chiedendo all’esecutivo quanti soldi intende stanziare e quale programma pensa di mettere in campo per i prossimi anni per ridurre il rischio idrogeologico nel Paese e mettere in sicurezza l’Italia da frane e alluvioni anche alla luce della chiusura della struttura di missione Italia Sicura. Senza dimenticare, rimarca l’associazione ambientalista, che è fondamentale opporsi a ogni nuovo condono edilizio. Ad oggi, dopo l’ondata di maltempo che ha colpito la Penisola, sono 11 le Regioni che hanno chiesto lo stato di emergenza (Veneto, Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Lazio, Sardegna, Calabria, Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia e Trentino-Alto Adige), mentre la stima dei danni è di circa 3 miliardi.
“È evidente che oggi a incrementare fortemente il rischio idrogeologico sul territorio e a causare le tragedie che si sono ripetute anche nei giorni scorsi non è il mondo ambientalista – spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – ma l’eccessiva cementificazione, legale e illegale, delle aree a rischio, e solo attraverso un serio intervento su questo fronte si riuscirà a mettere in campo una politica efficace di prevenzione. Al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, secondo il quale la vita delle persone viene prima dei vincoli e su Ischia non si può parlare di condono, rispondiamo dicendo che i vincoli ambientali servono a tutelare le vite umane perché dicono dove non si può costruire o realizzare una casa o un sito industriale perché lì ad esempio potrebbe esondare un fiume. E purtroppo con il condono contenuto nel dl Genova, il governo sanerebbe e ricostruirebbe case a Ischia che sorgono anche in aree a rischio idrogeologico e sismico. Per questo chiediamo che vengano stralciate tali norme mettendo la parola fine alla politica dei condoni. Al tempo stesso bisogna mettere in campo un programma per la prevenzione di frane e alluvioni nel nostro Paese, predisponendo le risorse necessarie e individuando priorità e qualità dei 9.000 progetti presentati dalle Regioni visto che non sono ancora disponibili i 30 miliardi di euro. Chiediamo al governo come intenda reperire queste risorse a partire dalla prossima legge di bilancio e su quale programma lavorerà sulla prevenzione da qui ai prossimi anni, anche alla luce di una politica di adattamento al clima sempre più urgente”.
Queste sono le azioni che veramente darebbero una risposta alle tragedie e ai disastri avvenuti in questi ultimi giorni in Italia e queste le cause da rimuovere, non la mancata pulizia dei fiumi dagli inerti e dagli alberi attuando ulteriori escavazioni in alveo o tagli a danno della vegetazione riparia, al centro di una proposta di legge presentata lo scorso marzo da alcuni parlamentari della Lega, in aperto contrasto con le attuali evidenze e conoscenze scientifiche e con le normative che riguardano i corsi d’acqua e la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico, a livello nazionale ed europeo.
A parlare chiaro sono i numeri che l’associazione ha raccolto nel dossier ‘Ecosistema rischio 2017’ e con ‘Abbatti l’abuso’, il report sulle mancate demolizioni. Nel 70% dei Comuni che hanno risposto al questionario si trovano abitazioni in aree a rischio. Nel 27% sono presenti interi quartieri, mentre nel 50% dei comuni sorgono impianti industriali. Scuole o ospedali si trovano in aree a rischio nel 15% dei casi, mentre nel 20% dei comuni si trovano strutture ricettive o commerciali in aree a rischio. E soprattutto si continua a cementificare i letti dei fiumi: il 9% delle amministrazioni ha “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio con la conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti, mentre solo il 4% ha eseguito la delocalizzazione di abitazioni costruite in aree a rischio e il 2% la delocalizzazione di fabbricati industriali. La costruzione scellerata non è un fenomeno solo del passato: nell’ultimo decennio il 9% dei Comuni (136) ha edificato in aree a rischio, di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate, nonostante il recepimento de Piani di assetto idrogeologico nella pianificazione urbanistica. Tutto questo ha portato oltre 7,5 milioni di italiani ad essere esposti a rischio idrogeologico. Anche gli ultimi dati Ispra sul consumo di suolo indicano come le aree di suolo artificiale ricadano per il 12% in zone a rischio frana e per l’11,6% in aree a rischio alluvione.
Sul fronte dell’abusivismo e delle mancate demolizioni, più dell’80% delle ordinanze comunali di abbattimento, dal 2004 a oggi, non è stato eseguito e solo il 3% degli immobili non demoliti è stato trascritto nei registri immobiliari pubblici. Le aree costiere sono tra le più colpite con una media di 247 ordini di abbattimento per comune, a fronte di una media di 23,3 nei comuni dell’entroterra. Se guardiamo alle regioni storicamente più esposte al fenomeno dell’abusivismo, la Sicilia ha il 9,3% del totale nazionale delle ordinanze emesse ma ne ha eseguite solo il 16,4%, la Puglia ha abbattuto il 16,3% degli immobili colpiti da ordinanza (il 3,2% del dato nazionale), la Calabria, sul 3,9% delle ordinanze a livello nazionale, ha realizzato il 6% delle esecuzioni.
I numeri e i danni causati dai cambiamenti climatici ricordano che l’adattamento al clima rappresenta la grande sfida del tempo in cui viviamo. Stando ai dati aggiornati del sito cittàclima.it, dal 2010 a oggi sono 238 i comuni dove si sono registrati impatti rilevanti, con 400 fenomeni meteorologici estremi, 126 allagamenti, 54 esondazioni fluviali e 119 i casi di danni a infrastrutture. Nel solo 2018 ci sono stati 115 eventi meteorologici estremi, di cui 55 allagamenti o alluvioni. Ancora più rilevante il tributo che si continua a pagare in termini vite umane e feriti: dal 2010 al 2017 sono state 157 le persone vittime di questi fenomeni e oltre 45mila quelle che sono state sgomberate.
Source: lanuovaecologia.it