Di recente mi è capitato di conoscere e parlare un po’ con due ragazze adolescenti, che mi hanno riconosciuta come autrice di Freeda. Si parla molto dei “giovani d’oggi”, ma li si ascolta poco, altrimenti emergerebbero cose interessanti, tipo che non sono affatto fuori fuoco come ci viene più comodo credere. Queste ragazze, ad esempio, erano così ben educate, così intelligenti, così desiderose di avere un confronto e consigli, che per tutto il tempo ho pensato: Oh no, si aspettano che tu sia un’adulta! Dì qualcosa di significativo, dì qualcosa di significativo!
Va bene, in realtà non ero così ansiosa. Però parlare con loro mi ha spinta a chiedermi che cosa avrei voluto sapere io prima, cioè cosa avrei voluto capire quand’ero più giovane, e che invece sento di aver imparato tardi.
Premesso che in realtà non è mai tardi per imparare qualcosa, e che una lezione teorica non vale quanto una pratica, ecco cosa mi è venuto in mente. Voi, invece, cos’avreste voluto capire prima? Ve lo chiedo seriamente. Magari mi risparmiate una bella fatica in futuro.
A parte la morte e un altro paio di cose che variano di persona in persona, nessuna condizione è permanente. Questo avrei voluto saperlo al liceo, e infatti possiamo riassumere questo punto così: il liceo finisce. Quando siamo immersi mani e piedi in un unico ambiente, il microcosmo che si crea diventa il nostro tutto, ma è appunto solo questo, un microcosmo. Però, quant’è difficile capirlo. Vale per molte altre cose – alcune situazioni famigliari e lavorative, ad esempio -, ma soprattutto per il liceo. Niente come il liceo invade il tuo tempo e il tuo modo di pensare, niente detta le sue regole in modo così severo, niente si configura così chiaramente come una società alternativa: la società dei ragazzi, completamente diversa da quella degli adulti. Però, passa. Se potessi renderei d’obbligo uno striscione all’ingresso di tutte le scuole che dica: c’è vita, dopo il liceo! Se vi ricordate com’è essere adolescenti, saprete che non è affatto scontato.
Questo non dovevano soltanto dirmelo, dovevano proprio tatuarmelo in fronte, in modo che fossi costretta a vederlo ogni mattina, e pure adesso ogni tanto mi servirebbe. Diciamolo pure, a volte il mondo sembra un postaccio senza speranza. Cattiverie, ingiustizie, ignoranza, sessismo, razzismo… se dovessimo opporci a tutto e litigare con tutti, diventerebbe un lavoro a tempo pieno, e moriremmo giovani per ipertensione e infarto. Significa che dobbiamo lasciar correre tutto? Assolutamente no, anzi. Una cosa che purtroppo ho imparato tardi è quella di farci sentire quando qualcosa ci ferisce o ci offende, sia in prima che in seconda (che in terza, che in quarta…) persona. Come può cambiare qualcosa, se per il “quieto vivere” lasciamo che tutti dicano e facciano tutto? Proprio per questo, però, è importante sapersi scegliere le battaglie. Perché il nostro tempo è limitato, perché non possiamo avvelenarci la vita, perché a volte incaponirsi su tutto è controproducente, ma soprattutto, perché non tutto ha la stessa importanza. Davvero è così necessario litigare per ore sui social perché un vostro contatto ha detto che Game of Thrones è sopravvalutato? Davvero? Va bene, ho fatto apposta un esempio cretino, ma il succo è: per avere la forza e le energie necessarie alle battaglie che contano, ogni tanto bisogna fare un profondo respiro e tirarsi indietro.
Ho vissuto gran parte della mia vita aspettando il magico momento in cui tutto si sarebbe allineato. Mettevo a fuoco quello che volevo, di solito cose piuttosto comuni, e lo ponevo involontariamente come condizione della mia felicità. Lo facciamo tutti, no? “Quando sarò laureata sarò felice”, “Mi manca solo un buon lavoro per essere felice”, “Chiedo solo di poter viaggiare più spesso, così sì che sarei felice”, “Ero felice di aver messo da parte dei soldi, ma poi è arrivato l’INPS da pagare”, “Guarda, mi sento abbastanza felice, ma se incontrassi la persona giusta…”. Sarei felice, se. C’è sempre qualcosa che ci manca, qualcosa che potrebbe essere migliorato, un ultimo pezzo da incastrare nel puzzle, ma se quella cosa andasse bene, allora… ecco, qui devo farvi uno spoiler: non può andare tutto bene. Semplicemente, non è la natura della vita. La vita si evolve, cresce, cambia, si adatta. Noi crediamo che spuntando una voce della nostra checklist saremo un passo più vicine alla felicità, ma non è vero. È vero invece che ogni voce spuntata ne genera altre, più o meno numerose, ancora da spuntare. E sapete cosa? È questo il bello. È quello che ci fa avanzare, che ci tiene vive. Diffidate del giorno in cui vi direte “ehi, non ho più nessun problema, sto a posto così!”. Non vivete nel condizionale, vivete nel presente. Dirlo è banale, ma crederci è molto diverso.
A proposito di banalità che in realtà non lo sono. Fino a una generazione fa si dava per scontato che la vita fosse divisa in due, giovinezza ed età adulta, e a un certo punto bisognava mettere “la testa a posto”. Il rischio, però, era quello di vivere una vita monca, assoggettata all’idea del raggiungere “la sicurezza”, del dover fare “quello che va fatto”. Oggi abbiamo parecchie sfortune, ma anche una buona fortuna: sappiamo che la sicurezza del futuro non esiste. Perché dico che è una fortuna? Perché se non c’è niente di certo, allora non c’è niente che vada fatto per forza, e questo ci rende liberi di fare le nostre scelte con il cuore e con la testa, non con gli schemi e le calcolatrici. Non è un discorso idealista, il mio, anzi è molto pratico, pensateci. Gli schemi e le calcolatrici sono tarati sul tempo in cui sono stati creati. Questo vuol dire che un risultato giusto per trent’anni fa potrebbe non essere giusto adesso, e che un risultato giusto adesso potrebbe non esserlo tra trent’anni. Non ci sono sicurezze su quali mestieri saranno “sicuri”, “richiesti”, “remunerativi”, non sappiamo che cosa sarà considerato “normale”, “auspicabile”, “raccomandabile”. Quindi, impegnatevi (ripeto, non solo col cuore, ma anche con la testa) per raggiungere ciò che volete, che sentite giusto per voi e credete possa rendervi felici – non ciò che gli altri vi dicono che è “più sicuro”, perché chi sa se lo sarà davvero?
Source: freedamedia.it
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