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Africa a cuore aperto

Gruppi di bambini inseguono a piedi nudi un pallone a un passo da una discarica a cielo aperto. Le auto fanno lo slalom fra le voragini sull’asfalto e i greggi di pecore. Molti degli adulti che si incrociano indossano la jellabiya, la tradizionale tunica bianca. Sono in fermento per l’Eid al- Fitr, la festa che celebra il termine del Ramadan. Dai minareti delle moschee, dipinte con colori sgargianti, la chiamata alla preghiera dei muezzin irrompe in ogni dove, raggiungendo anche quei rari angoli d’ombra dove i più fortunati trovano riparo dal sole cocente. Siamo a Soba, un vasto agglomerato di abitazioni fatiscenti e strade dissestate a sud di Khartoum, la capitale del Sudan, conosciuto fuori dai suoi confini fondamentalmente per un motivo: qui, fra il 1991 e il 1996, ha soggiornato per lunghi periodi insieme alla sua famiglia il fondatore di Al Qaeda, Osama Bin Laden. Da dieci anni a questa parte a Soba c’è però ben altro da raccontare: nel 2007 Emergency ha aperto il Salam centre, l’unico centro di cardiochirurgia che offre visite e interventi gratuiti a migliaia di persone che in Africa, e non solo, hanno bisogno di cure e non possono permettersele. Situato a poche decine di metri dalle rive del Nilo Azzurro, il Salam centre ha festeggiato nell’aprile scowrso i suoi primi dieci anni di attività. Da allora ha faticato non poco per scrollarsi di dosso lo scetticismo generale di quanti hanno da subito bollato questo centro come una cattedrale nel deserto. L’apparenza, d’altronde, inganna. Osservato dall’interno, il Salam centre si manifesta in tutta la sua bellezza architettonica e per la sua efficienza medica, marcando uno stacco netto rispetto alla realtà politica e sociale del Paese in cui opera. Solo negli ultimi anni il Sudan ha infatti avviato un processo di apertura verso l’esterno. Dal 1989 al potere c’è un regime militare guidato dal presidente Omar Al Bashir, su cui pendono le accuse della Corte penale internazionale per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra perpetrati nella regione occidentale del Darfur. Dal 1997 sul Sudan pesa inoltre l’embargo posto dagli Stati Uniti, mentre a sud la tensione è altissima da quando, a fine 2013, il Sud Sudan (indipendente da Khartoum dal 2011 a seguito di un referendum, ndr) è piombato in una nuova sanguinaria guerra civile. Nonostante le condizioni problematiche, aggravate dall’insorgere del colera, a Khartoum in questi dieci anni Emergency ha potuto curare migliaia di persone, effettuando 77mila visite e portando a termine oltre settemila interventi cardiochirurgici. Nella maggior parte dei casi i pazienti che arrivano qui sono affetti da patologie cardiache, debellate da decenni in Europa ma che nell’Africa Subsahariana causano ogni anno circa 300mila morti. In moltissimi casi si tratta di adolescenti e bambini. Danasabe è una studentessa nigeriana di fede cristiana. È arrivata in Sudan da sola dallo Stato nigeriano di Plateau. Come lei, sono tantissime altre le ragazze giovanissime giunte qui da altri Paesi africani: Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Kenya, Rwanda, Sierra Leone, Tanzania, Uganda, Zambia, Somalia, Burundi, Gibuti, Zimbabwe, Senegal, Burkina Faso e Camerun. Bassey proviene invece dalla Repubblica Centrafricana, da anni tormentata da violenze fra cristiani e musulmani. È arrivato dalla capitale Bangui per far curare suo figlio. «In città la situazione adesso è più stabile – racconta – ma alle porte di Bangui e in altre regioni continuano a esserci scontri. All’inizio da una parte c’erano i cristiani e dall’altra i musulmani, ora invece è diventata una guerra per il potere e per gli interessi economici. La gente chiede solo di poter tornare a pregare liberamente, in chiesa o in moschea. Grazie a Emergency qui in Sudan mio figlio e tanti altri africani possono avere cure gratuite». Ma non solo, perché nel porto di Khartoum in questi anni sono approdate tante altre storie: iracheni, afghani e yemeniti in fuga dalle guerra, addirittura un filippino che nel suo Paese non sarebbe stato curato da nessuno. Per tutti loro vale la formula del free-of-charge: visite, interventi e controlli senza alcun tipo di distinzione fra etnie, religioni, appartenenze politiche e classi sociali. Nessuno, insomma, viene lasciato indietro.

Cure d’eccellenza per tutti
Al Salam centre il benessere oltre che fisico deve essere anche mentale. È per questo motivo che l’area di 12.000 metri quadri in cui si sviluppa la struttura è stata progettata per essere a misura di paziente e per rendere il più efficace possibile il lavoro di chi ci lavora: uno staff a guida italiana formato da 450 persone fra medici, infermieri, tecnici, logisti, cleaner e driver, 400 dei quali sono sudanesi. Se l’utopia della sanità di eccellenza per tutti ha assunto una forma così “scandalosamente bella”, come l’ha più volte definita il fondatore di Emergency, Gino Strada, è grazie a un progetto di architettura solidale, risultato del lavoro di squadra fra l’architetto Raul Pantaleo, Pietro Parrino e Roberto Crestan. Il Salam centre rispetta gli standard di una struttura occidentale di alto livello: un blocco chirurgico con tre sale operatorie, una per la terapia intensiva, una per la sterilizzazione e una di emodinamica; un’area per la diagnostica e l’amministrazione, corsie con oltre cinquanta posti letto, magazzini, una foresteria per i parenti dei ricoverati, un padiglione di meditazione in cui cristiani e musulmani pregano gli uni al fianco degli altri, giardini con prati, siepi e boschi di mango.

Una struttura sostenibile
Fra i traguardi fissati dal Salam centre c’è anche quello della sostenibilità energetica. La struttura utilizza un impianto di pannelli solari esteso su 980 metri quadri. Servono per equilibrare il condizionamento della temperatura fra l’interno dell’ospedale, dove il livello richiesto per le sale chirurgiche e di rianimazione oscilla fra i 20 e i 23 gradi, e l’esterno, dove si toccano mediamente punte di 45 gradi. «Abbiamo sfruttato una delle principali risorse di questo Paese, il sole», spiega Vincenzo Porpiglia, logista del Salam centre, calabrese alla sua prima missione all’estero con Emergency. In pratica, i 288 collettori solari installati sui pannelli producono acqua calda che viene poi raffreddata grazie a una miscela a base di bromuro di litio. Le Uta (unità di trattamento aria) ricevono l’acqua fredda e la utilizzano per raffreddare ulteriormente l’aria proveniente da un filtro adiabatico. «Si tratta di un sistema basato su una tecnologia inventata dagli arabi nell’VIII secolo dopo Cristo – prosegue Porpiglia – E che garantisce ancora oggi di avere aria pulita anche durante le frequenti tempeste di sabbia. Il valore aggiunto dell’esperienza del Salam centre è far capire ai nostri colleghi sudanesi l’importanza del rispetto dell’ambiente e, allo stesso tempo, della cura di ciò che è bello». Perché è a loro che Emergency intende consegnare un giorno le chiavi di questo centro.

Il ruolo dell’Italia
È un passaggio di consegne non semplice, da interpretate nell’ottica più ampia del complesso processo di democratizzazione in corso in Sudan. Un percorso che vede impegnate le istituzioni che rappresentano l’Italia in questo Paese, a cominciare dalla nostra ambasciata a Khartoum e dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. «Negli ultimi quindici anni – afferma l’ambasciatore italiano, Fabrizio Lobasso – abbiamo investito in questo Paese circa 100 milioni di euro in progetti di cooperazione allo sviluppo, di cui il 90% destinati agli Stati dell’est: Red State, Gadaref e Cassala. Sono finanziamenti destinati alla sanità, all’agricoltura, alla formazione e alla protezione delle popolazioni più vulnerabili, per venire incontro alle prime necessità di donne, bambini e anziani. Assistiamo ovviamente anche le iniziative di Emergency e delle altre ong che operano nel Paese – conclude l’ambasciatore – Il concetto solidale di sanità, che nelle sue varie forme l’Italia ha promosso in Sudan per anni, è molto caro ai sudanesi ed è stato recepito dalle autorità locali con impegno, ciò è dimostrato anche attraverso lo stanziamento annuale di una cifra considerevole per sostenere le attività del Salam centre». Dieci anni fa Soba era conosciuta al mondo come un luogo impenetrabile, covo di Osama Bin Laden. Oggi, grazie a Emergency, sta scrivendo una nuova pagina della sua storia.

Source: lanuovaecologia.it

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