“Prendi il tuo cuore spezzato e trasformarlo in arte”. Sono sue le parole che ci hanno emozionato dell’appassionato discorso di Meryl Streep ai Golden Globe di quest’anno e che ancora mi risuonano nelle orecchie come monito per i momenti più bui.
Non importa quanto si possa essere devastati – e in termini di relazioni finite male, guai passati con droga e alcool, Carrie sapeva senz’altro il fatto suo – quello che conta è trovare un modo per raccogliere i pezzi del proprio cuore e metterli a servizio dell’arte – che per lei era recitazione e scrittura. E così sembra aver fatto, cercando di rialzarsi a ogni caduta, e mettendo nei suoi personaggi e nei suoi libri tutta la fragilità e l’ironia di cui era capace. Da notare come anche Meryl Streep, quando la cita, si riferisce a lei come la principessa Leila, il nome del personaggio che l’ha resa famosa a soli vent’anni, e che l’ha proiettata nell’immaginario pop, praticamente rendendola immortale. Croce e delizia per un attore, che si può ritrovare bloccato da tanta fama, rimanendo imprigionato nella maschera di un personaggio e impedendo alle persone di riuscire a vedere altro se non, in questo caso, la protagonista della saga di Guerre Stellari. Pur avendo ammesso le difficoltà dovute alla costante associazione tra lei e la principessa Leila ha combattuto il fantasma di questo personaggio, imparando infine ad accettarne oneri e onori:
Non fosse stato per la lungimiranza di George Lucas non ci sarebbero mai state Sigourney Weaver in Alien e tante altre eroine. Leila ha lanciato, a mio avviso, una nuova generazione di giovani donne sicure di sé, senza paura, con cui ci si può identificare. Non sarei tornata a interpretare Leila alla mia età se mi avesse dato fastidio. È bello essere lei. Forte e indipendente, tutto quello che avrei voluto essere quando la interpretai per la prima volta nel 1977.
“È nata una stella” si dice di solito quando una giovane artista viene scoperta in un remoto angolo della terra per poi risplendere tra le celebrità dello show biz, ma nel caso di Carrie Fisher, probabilmente il suo destino nel cinema era già scritto alla nascita; è infatti la figlia dell’attrice Debbie Reynolds – la stella di Cantando sotto la pioggia – e del cantante Eddie Fisher, coppia che negli anni ’50 era più o meno l’equivalente di Angelina Jolie e Brad Pitt ai tempi d’oro.
Carrie nasce a Burbank in California, il 21 ottobre 1956 e poco dopo nasce anche il fratello Todd. Il matrimonio dei genitori però dura poco e il loro divorzio, nel 1959, suscita un clamoroso scalpore, vista la decisione di Fisher di sposare in seconde nozze, quello stesso anno, l’attrice Elizabeth Taylor, amica stretta della coppia. Carrie dunque cresce nell’aristocrazia hollywoodiana, e non sorprende che fin da subito voglia seguire le orme dei genitori.
Il suo talento precoce di attrice la porta in giovanissima età nei teatri di Broadway e poi sul grande schermo: abbandona il liceo a 15 anni per dedicarsi completamente alla carriera, e dopo avere ricoperto lo stesso ruolo della madre nel musical di Broadway Irene, del 1973, approda al cinema al fianco di Warren Beatty, Julie Christie e Goldie Hawn nella commedia Shampoo, del 1975. Si iscrive prima alla Central School of Speech and Drama di Londra (che frequenta per circa un anno) e poi al Sarah Lawrence College, che però abbandona per girare la saga di Guerre Stellari.
Carrie viene scelta per il ruolo della principessa Leila Organa – il cui nome viene cambiato nella versione italiana per essere meno “esotico” dell’inglese Leia, esattamente come è successo per il personaggio di Ian solo, che nella versione inglese originale si chiama Han. Ha vent’anni e recita al fianco di Harrison Ford, Alec Guinness, e Mark Hamill in tutti i primi tre film; Guerre Stellari – Una nuova speranza del 1977, L’impero colpisce ancora del 1980 e Il ritorno dello Jedi nel 1983. La saga ha un successo strepitoso e rappresenta un po’ il racconto epico del nostro tempo per il modo in cui la storia e i suoi protagonisti sono entrati a far parte della cultura, e questo anche grazie al personaggio femminile di Leila, che fa innamorare i ragazzi e appassiona le ragazze. È infatti un ruolo insolito, che capovolge il clichè della principessa da salvare; è lei stessa una combattente ironica, con dei forti ideali e dotata di una buona praticità – grazie alla quale riesce a uscire dalle situazioni più impensabili – ma che non nasconde le sue fragilità, i suoi dubbi e un certo senso di inadeguatezza per i compiti che le spettano. È una donna a 360 gradi, di potere che non perde però in dolcezza; un personaggio unico, originale anche nel suo essere bella e sexy. Il suo fascino è infatti un mix di carattere e indubbia avvenenza che non la rendono irraggiungibile, ma piuttosto “una di noi”. Potrebbe essere l’amica che adoriamo perché irresistibile – nelle sue doti così come nei suoi difetti – o quella prima fidanzata che ancora, quando se ne parla, fa abbassare lo sguardo e sorridere. Insomma, l’unica che può tenere testa a un Harrison Ford altrettanto fenomenale, che quando lei gli dice “ti amo” risponde “lo so”. Tutto questo è la principessa Leila, personaggio scritto in maniera impeccabile e interpretato ancora meglio.
Nel 1980, anno de L’impero colpisce ancora, interpreta anche il ruolo dell’ex fidanzata di Jake Blues in un altro film cult, The Blues Brothers, ma le riprese di questo periodo si rivelano difficili: Carrie soffre di depressione e di disturbo bipolare, a cui poi si aggiungono l’abuso di droga e alcool, per cui fatica a lavorare e a mantenere la concentrazione durante le scene, tanto da rischiare più volte di venir sbattuta fuori dal set.
Dopo questa esperienza, decide di curarsi e per diverso tempo non la si vede più sul grande schermo se non in ruoli minori, come in Hannah e le sue sorelle di Woody Allen nel 1986, e in Harry ti presento Sally del 1989, mentre è dell’anno successivo il film Cartoline dall’inferno, tratto dal suo romanzo semi-autobiografico del 1987, che vede la sceneggiatura di Carrie e l’interpretazione dell’amica Meryl Streep. Il film è un successo e tra i vari riconoscimenti le vale una nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura; negli anni successivi lavora come script doctor per altre scritture importanti del cinema – come Hook – Capitan Uncino, Sister Act e Last Action Hero – per poi tornare sugli schermi ancora nei panni della principessa Leila negli ultimi capitoli della saga. È passato molto tempo dall’ultima volta e i commenti sul suo aspetto non tardano ad arrivare, così come le sue risposte sui social, in cui rivendica il suo diritto ad invecchiare e chiede come mai non sia stato riservato lo stesso trattamento anche ai suoi colleghi maschi:
Vi prego di smetterla con questa storia se sia invecchiata bene o meno. Ferite i miei sentimenti. Bellezza e giovinezza sono qualità provvisorie dovute al tempo e al Dna, quindi non illudetevi. Il mio corpo non sarà invecchiato tanto bene quanto me. Va bene. Ma lasciatemi perdere.
Per quanto riguarda la sua vita sentimentale, dopo alcune brevi relazioni coi colleghi di set – Dan Aykroyd e Harrison Ford, come recentemente ammesso nel suo libro The Princess Diarist – si sposa con nel 1983 con il cantautore Paul Simon, ma il matrimonio dura appena un anno e dopo svariati tentativi di riconciliazione, si lasciano definitivamente nel 1991, anno in cui inizia una relazione con Bryan Lourd, da cui nasce una figlia, Billie Lourd. Il rapporto tra i due non dura e nel 1994 si lasciano. Negli anni ’80 e ’90 si dedica anche alla scrittura di romanzi semi-autobiografici e autobiografie, in cui non si risparmia nel raccontare, con estrema lucidità e onestà, i suoi problemi sentimentali e gli abusi di farmaci e sostanze stupefacenti: per citarne alcuni, Non c’è come non darla del 1990, The Princess Diarist del 2016, e Wishful Drinking del 2008, una pièce teatrale in cui racconta del suo rapporto con il bere, che diventa prima un saggio e poi un documentario della HBO. Di questo spettacolo parla un articolo del Guardian di Hadley Freeman che ricorda che Carrie era esattamente così come la si poteva vedere sul palco; divertente e cinica, esattamente “il tipo persona che vorresti avere accanto a un matrimonio”. Il suo leggendario senso dell’umorismo, la sua forza nel parlare dei disturbi mentali, ci permettono di pensare di conscerla, emergendo con facilità non solo dalle numerose interviste che si trovano in giro, ma anche dai tantissimi messaggi che tutti gli amici del mondo dello spettacolo hanno scritto per ricordarla dopo la sua improvvisa morte lo scorso 27 dicembre.
Carrie Fisher è morta a sessant’anni, quattro giorni dopo un arresto cardiaco avuto su un aereo che la stava portando da Londra a New York, e solo un giorno dopo è morta la madre di 84 anni, Debbie Reynolds, le cui ultime parole sono state “voglio stare con Carrie” prima di essere colpita da un ictus. Le due avevano un rapporto turbolento ma strettissimo, testimoniato dal recente documentario della HBO sulla loro vita intitolato Bright Lights.
Se la mia vita non fosse stata divertente sarebbe stata semplicemente vera. E questo sarebbe stato inaccettabile.
Questa la citazione scritta dalla figlia Billie per ricordare la madre, a qualche giorno dalla sua morte: e sono stati tantissimi i personaggi del mondo dello spettacolo che l’hanno voluta salutare con parole piene d’amore, affetto e stima, perché a Hollywood era amatissima e conosciuta per essere un’ottima amica – abbastanza sregolata da non giudicarti, leale e assolutamente divertente. Ma tra tutti, Meryl ci ha ricordato quelle parole piene di dolore e speranza, che racchiudono in sé uno spirito che ci esorta a prenderci per mano e rialzarci, mettendo con passione tutto quello che ci rimane, ciascuno nella propria arte. E per il resto: che la forza sia con noi.
Source: freedamedia.it