Scompenso cardiaco, ora possiamo predirlo grazie a tre biomarcatori: scoperta italiana – di Zeina Ayache
Gli scienziati italiani dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna hanno scoperto che esistono tre biomarcatori in grado di predire i rischi legati allo scompenso cardiaco nei pazienti.
Gli esperti ci spiegano come siano giunti a questa scoperta e quali siano questi biomarcatori.
I ricercatori italiani hanno scoperto che il dosaggio ematico di tre biomarcatori permette ai medici di predire il futuro dei pazienti con scompenso per valutare le loro probabilità di ospedalizzazione o di morte cardiovascolare o di morte per altre cause.
Vediamo insieme i dettagli della ricerca degli esperti dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna e della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio di Pisa che sul Journal of the American College of Cardiology hanno pubblicato i loro risultati.
Scompenso cardiaco. Quando parliamo di scompenso cardiaco ci riferiamo alla via finale comune di molte patologie cardiovascolari e una delle principali cause di ricovero e decesso nel mondo occidentale.
In pratica parliamo di scompenso cardiaco quando il nostro cuore non riesce ad assolvere alla sua funzione contrattile di pompa e quindi non soddisfa l’apporto di sangue necessario a funzionamento degli organi.
Biomarcatori predittivi per scompenso cardiaco
Gli esperti spiegano che grazie al loro studio sono riusciti a dimostrare che il dosaggio ematico di tre biomarcatori è in grado di fornire ai medici un vero e proprio strumento utile a predire i rischi per il paziente. Questi tre biomarcatori sono:
il recettore solubile sST2, importante indicatore di attivazione delle vie che provocano attraverso la fibrosi del cuore il suo indebolimento; l’ormone cardiaco “NT-proBNP”, indice di scompenso emodinamico;
la proteina cardiaca “troponina T” dosata con metodiche ad alta sensibilità, indice di morte cellulare, questa già oggetto di studio e pubblicazione in passato da parte dello stesso gruppo.
Gli esperti spiegano che questi marcatori aiutano a valutare la probabilità di ospedalizzazione:
per scompenso (il cui rischio aumenta sino a 10 volte quando la concentrazione di tutti e tre i biomarcatori è aumentata); morte cardiovascolare; per morte da tutte le cause (rischio aumentato sino a sette volte).
Lo studio. Gli esperti, che hanno lavorato anche con scienziati a livello internazionale visto che lo studio ha coinvolto quattro studi europei e americani, hanno analizzato 4268 pazienti attraverso metodiche statistiche avanzate (meta-analisi da dati individuali), stabilendo per la prima volta i valori di soglia di rischio da utilizzare per orientare la decisione clinica (27 ng/ml, 1,360 ng/L, 18 ng/L).
Grazie a questo dosaggio, i medici possono intervenire sulle necessità del paziente.
Fonte: scienze.fanpage.it