Quelli come te sono i peggiori: vi nascondete sotto la maschera della timidezza pensando che sia una qualità nobile, ma in realtà siete i più accaniti egocentrici.
Quando una delle registe con cui ho lavorato mi ha detto queste parole, ero ancora allieva in un’accademia di recitazione, e ricordo di aver seriamente sperato che la terra sotto di me si aprisse, facendomi sparire in fretta e in modo indolore. Era evidente che non era la prima volta che lei aveva a che fare con un’attrice timida e meno estroversa delle altre (quello che un attore sia per forza un personaggio eccentrico h24 è un mito da sfatare) e si vede che aveva un’opinione abbastanza chiara rispetto questo tipo di comportamento. Ora, non ricordo a cosa fosse dovuto questo rimprovero, ma di certo mi è servito a capire un meccanismo di cui non mi ero mai resa conto: anche nella timidezza c’è una forma di vanità e soprattutto di egocentrismo.
Da quel momento, ho cominciato a osservare con più attenzione questo mio comportamento (e quello dei miei simili): e se fossi stata effettivamente una persona che stava prendendo un po’ troppo sul serio il suo disagio – e di conseguenza se stessa? La lezione della regista, in ogni caso, non era finita:
Voi dovete capire un principio fondamentale: non siete così importanti. Nessuno di noi lo è.
Parole lapidarie sul momento, ma che sono state illuminanti e mi sono servite a centrare il cuore del problema (così come avevano colpito dritto al mio). In effetti sì. Forse tutto quello che concerneva la mia timidezza (e la mia paura di sentirmi perennemente fuori luogo) non era altro che un modo obliquo – ma non per questo meno “attivo” – di attirare l’attenzione su di me. Oliver Burkeman, giornalista del The Guardian, la chiama “reticenza egocentrica”, ovvero una dinamica per cui “la nostra paura di essere al centro dell’attenzione parte dal presupposto che già lo siamo.” Come esempio di questo comportamento, cita la tendenza degli inglesi a evitare in ogni modo momenti imbarazzanti o che possano attirare su di loro l’attenzione generale – un esempio? Quando al ristorante si vorrebbe cambiare un piatto perché non è come vogliamo, ma si ha paura di farlo:
Quando siamo al ristorante, è corretto rimandare indietro un piatto se non è come lo avevamo ordinato, cioè freddo se dovrebbe essere caldo, coperto di formaggio se lo abbiamo chiesto senza formaggio? Naturalmente, il terrore di noi inglesi di farci notare è così profondamente radicato in me che alla sola idea mi si stringe lo stomaco per l’ansia. Ma alla fine quello che mi ha convinto è stato rendermi conto che di solito quel terrore è una forma di egocentrismo. Siamo davvero così importanti che se chiediamo di avere un piatto senza formaggio le persone che stanno cenando con noi rimarranno paralizzate per l’imbarazzo, rovineremo la giornata del cameriere e traumatizzeremo tutto il personale della cucina? Guardiamo in faccia la realtà: non lo siamo.
Per approfondire ulteriormente il concetto, Burkeman porta come esempio uno studio sulla gratitudine, dove compare questa reticenza egocentrica in merito a un altro comportamento che potrebbe suonare familiare a molti: scrivere un biglietto di ringraziamento. Quante volte abbiamo lasciato perdere, pensando che tanto non avrebbe cambiato nulla, né che avrebbe fatto poi così piacere al destinatario? Ecco, gli psicologi Amit Kumar e Nicholas Epley – nel suddetto studio – hanno invitato i partecipanti a scrivere un messaggio di ringraziamento a una persona importante che aveva fatto la differenza nella loro vita, e si sono ritrovati a osservare diverse resistenze nel portare a termine la richiesta, perché in molti pensavano che il biglietto non avrebbe fatto particolarmente piacere alla persona in questione – o che addirittura sarebbe stato giudicato male. Insomma, ancora un volta, tra quello che vogliamo fare e l’azione vera e propria, ci si ritrova in mezzo un ingombrante sé.
Perfino nel contesto apparentemente altruistico di un’espressione di gratitudine, i mittenti non potevano fare a meno di dare troppo peso a se stessi. Perciò se vi trattenete dall’inviare un biglietto di ringraziamento a qualcuno perché temete di metterlo in imbarazzo, o che trovi sgradevole la vostra prosa, state permettendo al vostro egocentrismo di sabotare un’iniziativa che avrebbe reso entrambi più felici.
E qui si torna alle lapidarie – ma quanto mai veritiere – parole della mia regista. Inconsapevolmente, ero più concentrata su me stessa di quello che volevo far apparire, e anche se questa idea mi era odiosa, non potevo che riconoscere quanto fosse vera. Senza farla diventare un’ossessione, ho provato a fare attenzione a tutte quelle occasioni in cui avrei potuto minare questo meccanismo, preoccupandomi meno di quello che avrebbe pensato la gente ed esponendomi un po’ di più. Anticipare il giudizio – negativo – degli altri e reagire a quello stimolo immaginario pensavo fosse una strategia di difesa efficace, ma in realtà era un comportamento più arrogante di quanto volessi ammettere. E devo dire che, cominciando a lavorare su questi piccoli cambiamenti e a distruggere la mia atavica paura d’agire (in nome della sacra protezione del mio ego), mi sono sentita un po’ più leggera al pensiero che sì, potevo essere più coraggiosa di così. Essere timidi va benissimo, ma ci si può fare un po’ più forza in certi contesti e non pensare che inevitabilmente rovineremmo tutto solo per paura di fare qualche cavolata – perché innanzi tutto, non sarebbe né la prima, né l’ultima e poi perché alla fine (ma neanche troppo) non siamo così importanti. Per quanto possiamo risultare fuori luogo – più o meno facilmente, a seconda dei casi – è giusto pensare di poter fare la differenza, ma è anche bene ricordarsi che il destino dell’umanità non è sempre nelle nostre mani.
Source: freedamedia.it