Sembra impossibile ma la storia di Marzia ed Emanuele è una storia a lieto fine. Lei, incinta, è riuscita a portare a fine la gravidanza senza ricorrere alla chemioterapia.
Insegnante alle scuole elementari lei, impiegato Telecom lui. Vivono a Palermo, sono sposati, hanno una bimba di tre anni e mezzo, Alice, e sono in attesa del secondogenito che si chiamerà come il nonno paterno, Andrea. La loro felicità però – racconta oggi il Corriere – s’interrompe però bruscamente nel giro di poche ore. A Marzia, mentre si trova quasi al sesto mese di gestazione, arriva una diagnosi impietosa: leucemia. La tipologia di leucemia è promielocitica acuta: molto rara e tra le più aggressive.
Come uscire da questa situazione senza speranza? Ancora una volta ci pensa la scienza. E una ricerca “made in Italy”. «Oggi, invece, grazie alla ricerca italiana abbiamo un alto tasso di guarigione – spiega in anteprima al Corriere della Sera Sergio Siragusa, direttore dell’Unità di Ematologia con trapianto all’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Palermo -. Tra gli studiosi che hanno scoperto pochi anni fa una terapia efficace c’è infatti Francesco Lo Coco, un palermitano attualmente all’Università Tor Vergata di Roma: acido retinoico, derivato della vitamina A, in associazione al triossido di arsenico e alla chemioterapia classica hanno cambiato la storia di questo temibilissimo tumore del sangue. Ma questa cura non era “praticabile” in una gestante. E noi abbiamo provato a modificarla, per salvare mamma e bambino». Si tratta del primo esperimento italiano. Una prova difficile, che in passato ha avuto scarsi esiti sulle gestanti.
«Tutta questa vicenda è una felice dimostrazione di buona sanità ed esemplare dell’ottimo livello dell’ematologia italiana – sottolinea al Corriere Paolo Corradini, presidente della Società Italiana di Ematologia e direttore del Dipartimento di Ematologia all’Istituto Tumori di Milano -. Non è quasi mai necessario andare all’estero: da noi si trovano le cure migliori e le sperimentazioni più innovative. Abbiamo competenza e terapie d’avanguardia come nei migliori centri stranieri. Non a caso la cura per questa forma di leucemia è stata messa a punto grazie al contributo di ricercatori italiani. E ora la nuova versione “modificata” per la gravidanza verrà studiata e testata su altri eventuali casi. Consentendo, speriamo, di ottenere gli stessi successi su altre mamme in difficoltà».
Marzia si è accorta in gravidanza di strani sintomi: lividi sul corpo, numerosi, senza aver avuto alcun trauma. Dai valori delle piastrine ci si accorge che qualcosa non va. Si sospetta una gestosi e nei giorni successivi si organizza un parto cesareo d’urgenza. parto che poi viene rinviato per l’alto rischio su mamma e bambino. All’Ematologia del professor Siragusa si arriva alla diagnosi. Aborto per consetire la chemio? «Invece abbiamo provato ad adattare la terapia allo stato di gravidanza – dice al Corriere Siragusa, che è anche vicepresidente della Società Italiana di Ematologia (Sie) -. Abbiamo eliminato la chemioterapia: del resto i pazienti a basso rischio, con una forma meno aggressiva di questo tumore, già ricevono standard un trattamento “chemio-free” riuscendo a ottenere la guarigione in un’elevata percentuale di casi (anche 90%). Ma la situazione clinica di Marzia era particolarmente critica (aveva già segni di emorragia grave con interessamento cerebrale) e non era neppure possibile usare uno dei due farmaci ritenuti indispensabili contro la leucemia (il triossido di arsenico, per la potenziale tossicità sul feto). Non c’era tempo, il 30 gennaio abbiamo deciso di iniziare la cura salvavita, solo con acido retinoico, e terapia di supporto per il rischio emorragico. L’obiettivo era consentire di portare avanti la gravidanza fino a un parto sicuro (35esima settimana di gestazione), con feto maturo».
Ci sono riusciti. Un miracolo. Stanno entrambi bene, il bimbo non ha avuto alcun disturbo legato alla malattia della mamma o alla terapia anti-leucemia. E ora Marzia proseguirà la terapia standard (cosiddetta di consolidamento e mantenimento) per alcune settimane in day hospital.
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